Nel ripercorrere il suo percorso esistenziale, il filosofo francese Edgar Morin rilevava nella vita intrauterina una parte fondamentale e decisiva della sua individualità. Morin non è l’unico che ha rilevato l’importanza della vita intrauterina sulla formazione caratteriale ed emotiva dell’individuo.
Anche Wilhelm Reich (psichiatra di origine ucraina- fu allievo di Freud), nei primi anni del Novecento, ha ampiamente affrontato il tema, rintracciando nei suoi studi le relazioni tra il feto e il mondo esterno, in relazione alla formazione del carattere.
La vita fetale, che non è non presente nella memoria individuale, può essere solo immaginata in una sorta di cornice onirica surreale. L’importanza di questo stupefacente periodo della esistenza umana non è sfuggito ai grandi pensatori e oggi è anche oggetto di attenzione da parte della scienza.
Da diversi anni si è ben compreso come il bambino nella pancia della madre sappia utilizzare tutti i sensi a sua disposizione; ma solo recentemente si è giunti alla comprensione di alcuni meccanismi che sussistono tra la madre e la crescita del bambino durante la gravidanza.
Parliamo di studi che dimostrano una correlazione causale tra un certo sviluppo del bambino in relazione a certi stati d’animo della madre durante la gravidanza.
A spiegare la relazione tra emozioni materne e feto sono gli studi di alcuni ricercatori giapponesi dell’Università di Nagasaki.
Questi studi hanno captato, attraverso l’utilizzo di strumenti di rilevamento particolari, l’effetto sul feto durante la gestazione delle emozioni positive della madre.
L’esperimento è stato condotto su tre diversi gruppi di gestanti, alla quale sono stati sottoposti alcuni filmati di diverso genere.
Il contenuto di questi filmati era di tre tipi (divertente, triste e neutro), e ad ognuno dei tre gruppi di gestanti è stato sottoposto una tipologia di filmato.
Attraverso i movimenti delle braccia del bambino si è compreso che questi movimenti aumentano incredibilmente in coincidenza dello stato d’animo positivo/divertito della madre; diminuiscono, invece, sensibilmente negli altri due casi.
Tutto questo, secondo i ricercatori giapponesi, è dovuto a fattori ormonali che innescano certi meccanismi circolatori.
La tristezza, per esempio, aumenta nei feti il livello di catecolamine, che è un ormone. Questo comporterebbe una fuoriuscita del sangue dall’utero con un conseguente minore approvvigionamento del cervello del feto; compromettendo così un miglior sviluppo cerebrale.
Dunque, appare chiara la necessità di affrontare una gravidanza serena e gioiosa. Davanti alla evidenza scientifica di questa notevole incidenza degli stati d’animo materni sulla salute del feto, bisognerà sicuramente ricercare il più possibile una situazione in cui le abitudini e le condotte degli stili di vita siano privi di stress e momenti di tristezza.
Certamente non sarà sufficiente la propria volontà per far questo, ma sarà indispensabile un’armoniosa collaborazione familiare o degli affetti più vicini.