Una madre mette al mondo il figlio milioni di volte: lo fa ogni volta che il figlio la cerca e lei c’è.
Hanno fatto questa cullina che dondola, ondeggia. Ci metti il neonato stretto in un fagotto di fasce, le punti col velcro alla struttura, torni a dormire. Sotto al video, centinaia di commenti risentiti, emoji con la faccia rossa di rabbia.
Penso ai primi mesi col primo figlio: esci dalla clinica e nessuno te lo dice, come si fa. Hai quella cosa dell’istinto materno, chi più chi meno, chi ce l’ha sviluppato come l’olfatto dei cani, chi invece tentenna, cosa faccio, lo prendo, non lo prendo, quanto dovrebbe dormire, quanto dovrebbe mangiare?
Nessuno ti dà le risposte.
Io in certi momenti, mi avessero dato una culla come quella, forse l’avrei provata. E non solo col primo figlio.
Eppure adesso sono anch’io, lì sotto, l’emoji col viso paonazzo, incazzato, la mia voce tra quella folla di commenti: una culla del genere è diabolica.
Che cosa voglio dirvi, con questo?
Che una madre è sola, a lei le scelte. Il padre si può alzare milioni di volte, ma è lei che resta a casa. Lei che allatta, lei che ha messo al mondo quel piccolo geco.
Che non è vero che l’amore basta. L’amore tu chiamalo pure, grida il suo nome: ma certe ore sembrerà insufficiente, come una coperta troppo corta. Tirerai finché puoi e impazzerai lo stesso.
Avrai un milione di domande. E quelle che non avrai saranno gli altri a buttartele addosso.
Ma almeno una, una sola verità, è chiara: per quanto difficile, tenetevi addosso il vostro cucciolo.
Non preparate la sua stanza prima ancora che venga alla luce. Non gliene frega niente, di quegli adesivi di Winnie the Pooh, di quelle stelle fluorescenti, delle tende arricciate.
Non gli interessa il rumore bianco, non vede i pupazzi in fondo al letto.
Né il lenzuolino color pastello, i ricami sul paracolpi.
Queste sono cose di cui ci convinciamo quando siamo incinte. Oggetti che ci fanno sognare, perché abbiamo bisogno di simboli, perché l’amore è anche una parete col suo nome.
Ma quando poi è nato, dimenticate gli orpelli, lasciate gli orsetti, le stelline, le pareti: viziate i vostri figli.
L’unica parete che conoscono è la vostra pelle, l’unico posto per il loro nome è sulle vostre labbra.
Non sono piccoli uomini, sono cuccioli mammiferi. Quale mammifero lascia dormire il piccolo lontano da sé?
Fatevi beffa di chi dice lo abitui male. Abituateli “malissimo”, allora: mollate le riserve, tornate a riva solo quando non ce la fate. È comprensibile, è difficile. Ricavate un piccolo baluardo vostro, se ne avvertite il bisogno. Ma per il resto viziate i vostri figli. Di questo vizio che è delizioso e sano. Di questa co-dipendenza senza la quale non saranno mai autonomi.
Crescendo sarà il piccolo stesso, a staccarsi. Non temete. È la spinta naturale all’evoluzione. L’indipendenza può nascere solo laddove prima si è sperimentata una dipendenza appagata: chi ha avuto madri fredde, giudicanti, distanti, sta ancora cercando e sempre cercherà di nascere. Questo penso.