Il concetto della cosiddetta “violenza ostetrica” rappresenta uno degli argomenti più dibattuti e controversi connessi alla gravidanza, al travaglio e al parto: volendolo riassumere semplicisticamente potrebbe essere definito come un insieme di comportamenti inopportuni o persino deplorevoli tenuti dagli operatori sanitari nei confronti della donna partoriente e del neonato, che, approfittando del momento di estrema delicatezza e fragilità emotiva, si possono concretizzare in azioni di medicalizzazione impropria o abusi psicologici.
Violenza ostetrica, mobilità materna e medicalizzazione del percorso nascita
La violenza ostetrica può essere attuata secondo modalità più o meno esplicite o implicite, allo scopo di privilegiare il vantaggio della struttura ospedaliera anziché quello degli assistiti, perpetrandosi mediante azioni fisiche oppure violenza di tipo psicologico e provocare traumi emotivi e danni fisici (più o meno gravi) sia alla donna che al neonato.
Seppure la situazione attuale, nei reparti di ostetricia italiani, si riveli una delle migliori d’Europa, è opportuno essere sempre informati delle eventuali problematiche e dei vari rischi connessi al parto.
La scienza ha dato un nome preciso a questo aspetto del percorso nascita, anche se, nel nostro Paese, in verità, l’informazione pare ancora essere piuttosto carente: la severe maternal morbidity (o near miss materno) indica la condizione specifica di una donna che è sopravvissuta a una gravidanza con complicazioni, a un parto a rischio e ai successivi 42 giorni.
L’Italia, a fronte di un tasso di mortalità materna e neonatale minimo, risulta uno dei paesi al mondo con il maggior numero di tagli cesarei eseguiti.
Partendo da questo dato, si deve riflettere anche su un altro concetto: quello di medicalizzazione del percorso nascita, il percorso e le modalità imposti dalle strutture ospedaliere che dovrebbero sempre valutare le reali necessità ed esigenze medico-sanitarie, prima di prescrivere terapie, visite ed esami.
Possono essere considerati eccessi inutili o superflui, ad esempio, la richiesta di ecografie oltre le tre considerate obbligatorie, la somministrazione di farmaci o integratori, così come la rasatura pubica durante il travaglio o le manovre aggressive per accelerare il parto.
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità, a tal riguardo, ha sentito la necessità di stilare, già nel lontano 1985, un Regolamento ufficiale che suggerisse le pratiche ottimali e quelle, invece, da disincentivare o evitare per tutelare madri e figli da abusi, violenze e atteggiamenti irrispettosi eventualmente perseguiti dal personale sanitario.
Violenza ostetrica: come difendersi
Quando la gravidanza giunge al termine, non è raro essere assalite da mille dubbi e preoccupazioni: vale per il primo come per tutti gli altri parti.
La paura del momento, il dolore fisico e l’ansia possono abbassare le difese razionali e può accadere che la donna si ritrovi in balia degli eventi, completamente indifesa e alla mercé delle altrui decisioni.
Si tratta di un momento di massima vulnerabilità ed è perciò necessario giungere al momento del parto perfettamente preparate e consce di ciò che potrebbe accadere.
È opportuno conoscere le fasi del travaglio e sapere cosa succederà al corpo: frequentare i corsi pre-parto, in questo, può rivelarsi molto utile.
La futura madre e chi la accompagnerà eventualmente in sala parto, in ogni caso, dovranno mantenere la lucidità necessaria per interpretare correttamente e razionalmente ciò che accadrà in quei frangenti, probabilmente molto concitati, per potere riconoscere situazioni e comportamenti inopportuni o borderline attuati da dottori e personale sanitario.
Qualora si reputasse opportuno, sarà possibile intervenire, rettificando consensi, rifiutando farmaci, manovre o l’applicazione di protocolli considerati obsoleti o non necessari, coinvolgendo personale sanitario anche esterno alla struttura e rivendicando diritti che, spesso, in quel momento, si dimentica di possedere.
Pretendere l’epidurale qualora si sia effettuato il percorso preparatorio previsto, non rispettare l’imposizione di determinate posizioni o non accettare l’effettuazione di manovre aggressive e violente (come scollamento o rottura manuale delle membrane e spinte sulla pancia), così come ribellarsi a ogni forma di sopruso psicologico ed emotivo e pretendere di potere tenere il proprio figlio in stanza per tutta la durata della degenza non sono “capricci”, quanto scelte libere che tutelano la salute sia della madre che del neonato.