Tempo di mare, di montagna, di lago. Tempo di vacanza. Di sole caldo, bollente. Di palestra mai iniziata, no, manco quest’anno ce l’abbiamo fatta. Di prova costume che, in fondo, ma chissenefrega. Di panzettine appena evidenti che, ai nostri occhi sono enormi, dimenticandoci che abbiamo partorito l’altro ieri.
Tempo di libri da leggere, sotto l’ombrellone (per gli altri). Di costumi da comprare (ma, in fondo, perché …. se tanto manco ti spogli, al mare).
A meno che non ci si porti la babysitter (come ci dicono succeda in mondi paralleli), la vacanza da mamma non è una vacanza.
È l’ Apocalisse.
Vacanze da Mamma che, forse, dico forse, se sono in montagna ancora ancora, ma se sono al mare sono un vero tormento.
- Ti alzi prima, per fare colazione con calma, ma loro sono così eccitati che, mentre per la scuola non si alzano manco con le cannonate, qui basta il canto di un usignolo
- Prepari loro la colazione, magari un sorso di caffè – se fai veloce- ce la fai pure tu, ma loro si sono spazzolati via pure il tavolo, terrazza inclusa
- Ad uno devi cambiare pannolino, all’altro devi prendere il vasino. Li lavi, li vesti, organizzi tutto ciò che c’è da portare in spiaggia
- Loro, davanti alla porta, “Mamma, siamo pronti, dai, muoviti, non ti sei ancora vestita”
- Dopo la decima volta che te lo ripetono, ti convincono. Esci con il pezzo di sopra del costume ed il pantaloncino del pigiama (ma tanto siamo al mare, chi se ne accorge della differenza).
La strada per arrivare al mare è come quelle di un film apocalittico.
Solo zombi e silenzio. Mamme come te, qualche nonno che vorrebbe scappare.
Un paio di papà. Si, in tutto l’Adriatico. Due poracci che, sino all’estate prima, avevano mandato la moglie in avanscoperta, l’ avevano chiamata dicendo frasi sconnesse, illogiche: mi mancano tanto i bambini/divertiti/beati voi che siete al mare /perché sei così pallida dopo due settimane in spiaggia.
Non hanno ancora capito perché, a settembre, le mogli hanno chiesto il divorzio.
Arrivati in spiaggia, la Fine.
Uno ti urla che la sabbia brucia e lo devi prendere in braccio, l’altro che in acqua ha freddo. Uno che vuole fare i castelli di sabbia, l’altro che vuole andare dove il mare è alto, tanto ho i braccioli. Uno che ha fame, l’altro che ha sete. Uno che un bambino gli ha buttato la sabbia negli occhi, l’altro deve fare la pipì. Tu realizzi che non l’hai fatta a casa, ma non la farai manco lì: la porta del bagno non ha la chiave e loro te la apriranno non appena ti sei seduta.
È tardi. Sono le 11.00. Tu vai a casa. Il mondo si popola.
Bisogna togliersi la sabbia di dosso. Uno si butta sotto la doccia, l’altro non ci mette sotto manco l’alluce, tu scivoli.
Una volta a casa, pappe varie. Telefonate perse di uno che vorrebbe dirti frasi sconnesse, illogiche.
Tentativi di nanne: ti illudi ogni volta, perché sei una romantica.
Alle 17.00 si torna in spiaggia e tutto si ripete identico al mattino. Cambia solo la popolazione. I due poracci sono tornati in città. I nonni si sono dati morti. Le zombi come te, temerarie, tengono duro.