Nonostante si parli tanto di diritti delle donne e delle madri, a Torino, nel mese di maggio, si è consumato l’ennesimo caso di discriminazione sul lavoro verso una donna incinta.
La denuncia della ricercatrice licenziata
È successo a maggio, all’Università di Torino, dove Barbara dal Bello lavorava da 15 anni grazie ad una borsa di studio di Agraria da 1100 euro netti al mese. La carriera di Barbara è consistita di diverse collaborazioni continuative con l’Ateneo, iniziate nel 2002.
Dopo aver ottenuto la laurea e il dottorato, la ricercatrice ha continuato a percepire assegni di ricerca, poi, da due anni a questa parte, è stata pagata tramite borse di studio che, però, non le danno diritto né al congedo di maternità, né all’indennità di disoccupazione.
La storia di Barbara è una storia tristemente comune. A dicembre, prima di annunciare la sua gravidanza, le era stato comunicato che erano stati trovati i fondi perché lei potesse mantenere il suo posto di lavoro. Solo un mese dopo, quando ha comunicato di essere incinta, le è stato detto che “Le cose cambiano“, e che non avrebbero più potuto rinnovarle la borsa di studio.
Un vuoto normativo
Dopo la denuncia fatta durante l’inaugurazione dello Sportello Precari dell’Università di Torino, anche i vertici dell’Ateneo si sono interessati del caso di Barbara. La ricercatrice ha esposto il suo caso alla prorettore, Elisabetta Barberis, che se ne sta interessando, così come il rettore, Gianmaria Ajani.
Purtroppo, come dichiarato dallo stesso rettore, esiste un vuoto normativo, per quanto riguarda diversi tipi di contratti, che così diventano vere e proprie trappole, che non offrono ai lavoratori alcuna garanzia.
Barbara, come tante altre donne nella sua posizione, è rimasta incastrata nelle maglie della burocrazia. Dopo aver usufruito degli assegni di ricerca per il numero massimo di anni consentito, è dovuta passare alle borse di studio per continuare a lavorare. In caso di scadenza, però, questo tipo di contratto non offre alcuna tutela alla lavoratrice.