Quando sei in difficoltà cerca quel punto che conosci e sai, le cose che vi saldano di nuovo, quelle intimità che solo a voi competono. Non c’è esperienza che ti verrà in soccorso quando avrà pianto per una notte intera, quando sarai esasperata. Non c’è persona che possa. Né luogo, né consiglio. Se non il vostro incanto.
Al primo figlio avevo due cose accanto, oltre a quel piccolo cucciolo d’uomo: l’inesperienza e l’ingenuità.
La prima era inevitabile, la seconda è anche indispensabile. Lo è anche dopo, anche al secondo, al terzo figlio.
Ci vuole il sogno, ci vuole quello che avevi immaginato. Ci vuole, lo imparerai giorno dopo giorno, che tu la tenga, quell’ingenuità. Mentre impari a mettere un pannolino, e cambiarlo più rapida di quanto mai fosti nel truccarti in volata verso l’ufficio. Mentre agganci e sganci l’ovetto dal sedile posteriore della macchina, apri e chiudi il passeggino con una mano sola. Mentre diventano abituali tanti gesti, vestirlo, tenerlo in braccio, lavarlo sotto il getto corrente attenta al moncone ombelicale e poi saldo sul tuo braccio nelle prime vaschette. Mentre l’esperienza fa il suo lavoro irrinunciabile: l’ingenua dolcezza è quella che ti salverà milioni di volte.
Perché ci saranno giorni che quelle piccole membra scosse da un pianto sconsolato ti metteranno a dura prova. Farai le stesse cose di sempre, quello che hai imparato, e non funzionerà. Sarai su dalle cinque del mattino senza aver capito nemmeno dove finisca la notte e incominci il giorno. Passerai i giorni in piedi senza sederti e le notti seduta senza coricarti. Ci saranno gli imprevisti, così puntuali sui tuoi nervi tesi, da credere che qualcuno li abbia messi apposta, che Madama Sfiga conosca bene i tuoi passi, le tue traiettorie, e adesso giochi nel gioco dell’Oca, ed è proprio questo che ti senti: un’oca. Cui non basta nulla. Goffa, quei piedi che tentennano, quei piccoli voli rasoterra.
All’esperienza chiedi: di ricordarti che domani andrà meglio. Dall’ingenuità accogli: la capacità di prenderti e riscattarti. Da quel tuo pianto nascosto, dal viso sfatto, i capelli legati sempre, le ore che non passano.
La natura ha fatto i piccoli difficili eppure disarmanti. Quando sei in difficoltà cerca quel punto che conosci e sai, le cose che vi saldano di nuovo, quelle intimità che solo a voi competono.
Appena puoi cercale, riproducile. Per me era passeggiare. Ma anche certe canzoni che io cantavo e Patrick mi lasciava fare. Non lo spaventavano le note alte, non s’insospettiva nelle pause, lui stava lì e tutta la sua vita era in quei pugni che cominciavano ad aprirsi, in quegli occhi sempre più chiari.
Ci sono smorfie che lo fanno ridere, balli che lo calmano. Giochi che lo divertono.
E poi: scoperte. E quando la complicità ritorna, prendila tutta, fanne scorta: è la tua rincorsa. Perché non credere che l’amore sia amore una volta per tutte. L’amore è dare ma ha bisogno anche di avere. È andare e venire. Essere madre non è un idillio, ma non è nemmeno fatica. Devi prenderli, quei momenti che s’alza il vento buono, tu lasciati stupire. È così, che superi quel viso stanco allo specchio, è così che fai pace. Con lui e con te stessa. Se no perché li fanno così belli, i bambini, così ingenui, così irresistibili?
Hai bisogno di quell’incanto, non c’è esperienza che ti verrà in soccorso quando avrà pianto per una notte intera. Quando ignaro dei tuoi limiti ti costringerà a superarli, quando sarai esasperata. Non c’è persona che possa. Né luogo, né consiglio.
La cosa più forte che mi ha sempre rialzato è stato rinnamorarmi, continuamente.