Conoscere in maniera dettagliata a cosa si andrà incontro al momento del parto può essere sicuramente utile per poter affrontare la situazione nel migliore dei modi e viverla senza particolari ansie.
La durata del travaglio non è assolutamente fissa né tanto meno standard: varia da donna a donna, ma anche dal numero di gravidanze sostenute in precedenze.
In caso di primo figlio, infatti, il travaglio può durare anche 24 ore, arco temporale che si assottiglia nelle gravidanze successive. Esso si divide in cinque fasi: la fase prodromica, la fase iniziale del travaglio, la fase attiva, la fase di transizione e la fase espulsiva.
Travaglio: sapete quando è ora di andare in ospedale?
Vediamole nel dettaglio:
FASE PRODROMICA
Consiste nella preparazione al travaglio. E’ difficile capire quando inizia perché non ci sono dei segnali più o meno evidenti e anche perché progredisce molto lentamente. Le uniche avvisaglie sono rappresentate dalle contrazioni che si manifestano la sera e che hanno una durata di 2-3 ore. Questa fase può essere antecedente al parto di qualche ora, ma anche di qualche giorno.
FASE INIZIALE DEL TRAVAGLIO
A dare il via ci pensa il bambino inviando messaggi chimici alla placenta. Questa fase inizialmente è caratterizzata da contrazioni irregolari e dalla perdita del tappo mucoso. Quando la dilatazione arriva a 4 centimetri, si entra nel travaglio vero e proprio che, a sua volta, si divide in tre fasi.
1) Fase attiva, in cui la dilatazione aumenta a un ritmo di un centimetro all’ora e le contrazioni diventano più frequenti, manifestandosi anche ogni cinque minuti. In casi simili, la futura mamma può fare tutto ciò che aiuti la dilatazione e allevii il dolore come cambiare spesso posizione, camminare oppure fare un bagno.
2) Quando la dilatazione arriva a 7/8 centimetri si entra nella fase di transizione, detta anche di latenza perché assomiglia tanto a una pausa prima dello sprint finale: sembra quasi che le contrazioni si fermino, che il travaglio si sia bloccato, anche se la progressione continua sempre, sia pure più lentamente.
3) Da questa fase, si passa a quella dell‘espulsione quando la testa del bambino, per effetto delle contrazioni, comincia a scendere lungo il canale del parto. E’ qui che si inizia ad avvertire una sensazione impellente di spingere che, ovviamente, la futura mamma dovrà assecondare, dopo il via libera dell’ostetrica. La durata di questa fase dipende dalla posizione del bambino, dalle sue dimensioni e dal fatto se sia o meno la prima gravidanza.
Ad esempio, se non ci sono sintomi di sofferenza fetale e ci si trova al primo parto, si può aspettare fino a due ore; per quelle successive la durata viene dimezzata. Il bambino scende lungo il canale vaginale, fino a far fuoriuscire la testolina; poi, con un’altra contrazione della mamma, compie un’ultima rotazione per liberare le spalle e finalmente venire alla luce ed emettere i primi vagiti. In questa fase c’è anche il cosiddetto secondamento che consiste nell’espulsione della placenta: in genere, avviene un quarto d’ora dopo il parto.