Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che il medico che formula una diagnosi di normalità morfologica del feto sulla base di meri esami strumentali, senza avvertire la gestante che è necessario ricorrere ad analisi prenatali più approfondite, è responsabile professionalmente per aver impedito il diritto all’autodeterminazione della paziente, qualora si ponga la circostanza di patologie gravi del feto non diagnosticate.
Esistendo il diritto per le gestanti di interrompere volontariamente la gravidanza, qualora vengano riscontrate anomalie morfologiche del feto, la Cassazione ha individuato una precisa responsabilità del sanitario che abbia di fatto impedita la possibilità di ricorrere ad esami diagnostici più approfonditi rispetto a quelli che lui stesso ha effettuato.
Ci riferiamo in particolare alla sentenza n. 24220, emessa dalla Corte di Cassazione, sez. III Civile l’8 ottobre 2015 e depositata il 27 novembre, la quale ha stabilito che, in virtù del diritto della paziente all’autodeterminazione, il medico che non ha prescritto ulteriori esami diagnostici in seguito al risultato negativo dell’analisi strumentale, è obbligato a pagare i danni ai genitori che, loro malgrado si sono trovati a portare a termine una gravidanza indesiderata (wrongful concepition). La coppia, tra l’altro, aveva espressamente dichiarato al sanitario la propria intenzione di interrompere la gravidanza in caso di gravi patologie riscontrate al nascituro.
I coniugi S.L. e C.M., dunque, che hanno citato in giudizio il ginecologo P. M., dopo due gradi processuali contrari alla loro tesi, hanno ottenuto dalla Corte di Cassazione una sentenza del tutto favorevole, che è destinata a creare un importante precedente giudiziale.
Al di là dei fatti processuali e delle responsabilità rilevate dagli organi giudicanti, va tuttavia rilevato che i genitori, all’indomani della nascita della figlioletta, gravemente malata, hanno deciso di non riconoscerla.