Sto cominciando a dimenticare.
Un anno fa, oggi, a questa stessa ora, ero un’idea.
Cioè, intendiamoci, per esserci c’ero eccome: carne, ossa, cartilagini, capelli, unghie, ogni cosa al suo posto. E non è che tu non lo sapessi: ogni martedì leggevi con papà i miei progressi su quel grosso libro rosa, che parla della gravidanza.
Aspettavi fino a sera, mettevate a letto i miei fratelli, poi vi sedevate sul divano, tu con le gambe stese sulle sue: quel piccolo appuntamento ti rendeva squillante fin dal mattino, faceva di quel giorno un giorno un po’ più nostro. E così, già allora, eravamo, in realtà, tre sul divano.
Il libro saltava quasi, sotto i miei calci, e ti ho sentita non di rado lamentarti: “Non sta ferma un attimo!” tra il divertito e il perplesso.
In verità, ho poi capito, tu mamma ti lamenti piuttosto spesso. Ma del resto anche io.
Eppure, calci e capriole a parte. Notizie, libri, ecografie. A parte tutto questo: io ero un’idea.
So a cosa stai pensando: era più facile. Le idee sono un po’ come l’acqua, prendono la forma del contenitore. Perciò ci voleva poco a tenermi buona, a lasciarmi da parte se volevi riposare, fare qualcosa di tuo, andare in bagno, uscire.
Non dovevi far silenzio entrando in camera, né vestirmi per andare a scuola a prendere i fratelli, né preparare da mangiare per me. Io stavo nei tuoi conteggi fino a un vestito largo, un cibo ben cotto, una verdura ben lavata. E poi, tutto il resto dello spazio, era bellezza.
Quasi non lo ricordo: cosa facevo, tutto quel tempo, là dentro?
Stai cominciando a dimenticare anche tu
Che casa era, questa, senza le mie strisce di bauscia? Quale silenzio incontrastato stagnava qui intorno? E non era forse un po’ vuota, la macchina, con quel sedile al centro senza occupanti?
Certo, a volte per fare pipì mi porti con te e mi metti nella vasca (vuota) per sorvegliarmi.
Certo, quando butto a terra l’ennesimo boccone di pane smadonni un po’. E soprattutto quando mi sveglio la notte (non sei neanche un po’ contenta che vengo a salutarti?).
Certo, graffiarti mentre ciuccio il tuo latte, oppure pizzicottare la tua carotide pulsante sembra un divertimento che non comprendi appieno. E quando urlo lanciando la testa all’indietro e quasi ti scappo dalle braccia giurerei che mi lasceresti cadere.
Che dire poi di quando ti percuoto perché mi piace il suono della mia mano sul tuo costato?
Però la tua vita ormai è questa. E anche la mia. E sembra sia così da sempre.
Ritrovo un po’ del sollazzo che provavo in grembo solo quando mi fai il bagno: è per quello che scalpito appena mi metti dinanzi alla vasca, e inizio a gridare quando ancora devi aprire il rubinetto per riempirla. Ma, a parte questo: vita terrena batte utero mille a uno, secondo me. Non sei d’accordo?
Sì che lo sei, lo vedo da come mi inumidisci di baci. Da come accorri (quasi) sempre se reclamo la tua presenza. Dal modo pazzesco che hai di farci nostre coi tuoi occhi, anche se sono stanchi. A dirla tutta i tuoi occhi sono forse la cosa più bella di questo mondo (al pari con la tetta). E, anche se molte cose non le capisco ancora, un giorno ti ho sentito dire: “Non avevo idea che si potesse amare così”.