Hanno finito quelle case che vedevamo sempre, passando a Cesano. Là dove lo sterrato ci infangava le ruote, i giri larghi e scendere dal marciapiede col passeggino. Sarah dapprima minuscola, un cappello leggero di coccinelle. Poi più grande, le gambe lunghe, le chiacchiere. Abbiamo amato quei luoghi. Li abbiamo scoperti insieme. Insieme li abbiamo fatti nostri.
Oggi Isabelle era buona, sopita tutto il tempo: era con me, lei nel marsupio, il Parco della Libertà, le montagne sullo sfondo liberato da un’aria tersa, pulita. Avrei voluto essere altrettanto limpida. Abbiamo fatto la via pedonale, cercato le prime margherite, percorso il vialetto col porfido.
Ho ripensato a Sarah, mi sbucava come una ciocca di capelli fuori posto. Ho creduto che non fosse giusto, che Isabelle e io scriveremo un’altra storia. Che la nostalgia difficilmente si scomoda per bussare ai cuori in festa.
Sui prati c’erano mille Occhi della Madonna: quei fiorellini azzurri che anche lei conosce.
“Madonna? Come Santa Madonna!” mi ha detto pochi giorni fa. E abbiamo riso.
Un tagliaerba faceva avanti indietro per il lotto, e singolarmente quei fiori restavano intatti: troppo bassi, piccoli, saldi, ancorati alla loro madre zolla. Così – credevo – saremmo sempre state. Anche noi due.
Forse è che la novità poi sfuma. Un fuoco che lascia solo braci e nessun calore. Poco colore vivace, nessuno scoppiettio. Così l’eccitazione dei primi tempi scema. In tante, minuscole, invisibili occasioni che l’occhio degli adulti non scorge, t’affanni a impuntarti. Capricci insistenti, quella voce che stride, la mia che vorrebbe fermezza e invece si piega a raccogliere la sfida. Da parti opposte ci schieriamo in sterili battaglie. Smetto un istante, mi balena rapida l’intuizione che magari basta un conforto. Mi chino, t’abbraccio. Ma un attimo dopo sei ancora al fronte. Cerco un luogo nostro, fuori, nelle cose da fare insieme, e dentro, in queste mani.
L’altro giorno non volevi andare all’asilo. Non vuoi andarci mai, a dire il vero. Ti ho aperto i capelli, sulla fronte, ti ho detto: “Qui, qui sotto dove nessuno vede, io metto il bacio più grande del mondo. Tu lo sai. Lo sappiamo solo tu e io. Ogni volta che all’asilo ti manco, tu metti la manina qui. Proprio qui. E ricorda che ti penso.”
Oggi ho cercato di distrarti col Signor Calza: una calzina che non volevi mettere al piede si è dispettosamente infilata, invece, sulla mia mano, e ha preso vita. Scrutavo dall’alto delle mie inutili conoscenze quando il Signor Calza avrebbe destato il tuo sorriso, sollevato il tuo viso chino sotto lo scudo dei capelli. Ho insistito finché quel sorriso non ha fatto capolino. Poi è rotolato giù, sulle parole di quella mano di calza, fino a diventare risata. Per un istante noi.
Ti offro quello che posso. Quello che non posso lo cerco comunque.
La sera leggi con papà. Molte cose le fai con lui, perché io sono occupata con la piccola al seno. Quando posso ci provo, lascio lei, ti dico giochiamo, ti chiedo se vuoi leggere la storia con me. C’è una fatica che si fa ruvida dietro alle mie proposte che restano inascoltate.
A volte ti trovo chiusa in camera: sola. Vengo e ti domando qualcosa. Una volta, due, molte. Resti lì, così com’eri, come non ci fossi. O non mi vedessi.
Allora capisco perché mi bagna la nostalgia: è l’ombra dettata da questa distanza.
Isabelle piange, lei che è ancora me, che non può alcuna distanza. E io devo tornare da lei.
Tutti mi chiedono dei figli. L’avevo messo in conto. Avevo immaginato come dirlo agli altri due, mi sono figurata come coinvolgerli. Se non è il primo, è il secondo pensiero che hai: proteggerli.
Tutti riflettono su questo aspetto, ma nessuno pensa alla madre. A una donna che vedrà spaccarsi l’unicità di un figlio, di un rapporto a due: con un raggio di luce, è vero, ma comunque spezzarsi.
Nessuno dice.
Che ci vorrà tempo, anche per me. Per ritornare noi, per inventarci ancora.
Saremo ancora noi, Sarah. Tra poco, tra un attimo. Ti porterò a Cesano, ti dormirò accanto. Ti legherò i capelli. E rideremo, anche se i fiori della Madonna sono già passati. Rideremo ancora, anche senza calze sulle mani.
Quanto ci costa rinunciare alla simbiosi? E’ un duro percorso verso la definizione dell’identità, ogni mamma vorrebbe per sempre quella unicità, fermare il tempo e assaporarne l’essenza. Ma si cresce e noi mamme cresciamo insieme a loro.
E’vero, è un duro percorso… bisogna continuamente ritrovarsi, ricostruirsi, ma l’arrivo di una sorellina in effetti dà uno scossone più impegnativo del semplice progredire del tempo e dell’età.
Perché? ?vi sentite in colpa??
No, più che in colpa un po’ di amarezza e nostalgia per come le cose erano prima, mi manca l’intimità che avevo con l’altra figlia prima che arrivasse l’ultima.
E proprio vero
Semplicemente grazie
Grazie a te, a voi, a chi mi legge e trova un po’ di sé nelle mie parole.
Cambia tutto…
Pensiamo sempre alla gelosia dei fratellini, ma a volte anche una mamma è a modo suo gelosa di un rapporto che non ha più l’unicità di prima…
Si, è vero! Mi sento costantemente in colpa…