Tutte le neo mamme desiderano aiutare il proprio piccolino a dormire, ma spesso non ne sono capaci e provano, di conseguenza, un sentimento di frustrazione e inadeguatezza. A supportare queste mamme in difficoltà c’è il cosiddetto metodo Tracy Hogg; scopriamo nel dettaglio di cosa si tratta e come funziona.
Il metodo Tracy Hogg, noto anche come metodo E.A.S.Y., rappresenta la soluzione ideale per tutti i genitori non integralisti, ovvero per tutti coloro che non concordano né con il rigido metodo Estivill né sono fautori della filosofia del cosleeping. L’infermiera britannica Tracy Hogg, infatti parte da questo presupposto: il bambino deve essere in grado di addormentarsi autonomamente in maniera naturale e serena, ma tuttavia, qualora ne abbia bisogno deve poter contare sul supporto e il conforto di mamma e papà.
Ma per cosa sta l’acronimo E.A.S.Y.? È presto detto: E. come EAT, ossia mangiare, A. come ACTIVITY, ossia attività. S. come SLEEP, ossia dormire e infine ma non meno importante, Y. come YOU, ossia tu, mamma, pensa anche a te stessa per far star bene il tuo bambino. Easy=facile!
Metodo Tracy Hogg: cosa fare prima della nanna?
Prima che sopraggiunga il sonno, Tracy Hogg consiglia di far rilassare il bambino, in modo tale da prepararlo al riposo notturno. In tal senso le attività più adeguate sono le seguenti:
- fare un bagnetto caldo al piccolo e massaggiarlo
- infilargli il pigiamino
- tenerlo in braccio e raccontargli una favola
- sussurrargli paroline dolci e abbracciarlo
- cantargli una ninna nanna
- creare un’atmosfera favorevole al sonno (ad esempio chiudendo le tende della stanza).
Questa fase consente a mamma e figlio di condividere intensi momenti di tenerezza.
Metodo Tracy Hogg: la culla
Prima che il piccolo si addormenti è importante adagiarlo dolcemente nella culla. Questa fase è facilmente riconoscibile: il bambino sbadiglia, inarca la schiena e osserva un punto fisso col classico sguardo perso nel vuoto (definito dall’autrice “sguardo delle mille miglia”). È davvero importante interpretare correttamente questi segnali, in quanto se si supera questa fase, ovvero se si oltrepassa la soglia della stanchezza, il bambino si innervosisce e diventa estremamente irritabile, rendendo assai difficile la nanna.
Farlo addormentare tra le proprie braccia e poi collocarlo nella culla, invece, è una pratica assolutamente da evitare: in caso di risveglio improvviso il bebè, infatti, potrebbe sentirsi spaesato e confuso.
Naturalmente queste fasi descritte dalla scrittrice britannica devono essere interpretate con flessibilità: ciascun bambino, infatti, ha i propri ritmi e i propri segnali che, col tempo, i genitori riescono a comprendere e decifrare.
Metodo Tracy Hogg: se il bimbo piange?
Ma come comportarsi se, dopo averlo adagiato nella cullina, il bambino comincia a piangere? Niente paura! In questo caso lo si riprende in braccio, lo si culla e prima che sia completamente addormentato lo si rimette nel lettino. Se piange di nuovo, si procede sempre allo stesso modo, fino a quando il piccolo non ceda definitivamente alle lusinghe di Morfeo. Insomma il bimbo deve essere sì autonomo, ma deve anche avere la certezza del conforto e delle coccole genitoriali in qualsiasi momento.
A ciascuno… il suo metodo!
Sicuramente il metodo elaborato e descritto dall’infermiera britannica Tracy Hogg non ha valenza universale. Si tratta di una tecnica assolutamente valida e apprezzabile, ma ovviamente ogni bambino è diverso dall’altro e non con tutti questo metodo funzionerà. Una cosa è certa: con i neonati sicuramente è più efficace, in quanto essi sono naturalmente predisposti ad accettare questa tecnica; con i bambini più grandicelli, al contrario, si faticherà un po’ di più, ma sarà comunque possibile ottenere risultati soddisfacenti.
Ciò che conta più di ogni altra cosa è che i genitori, e in particolare la mamma, non si facciano assalire da inutili sensi di colpa. Sentirsi inadeguati, infatti, non produce benefici, ma anzi annulla i sacrifici fatti e i risultati ottenuti fino a quel momento. Del resto lo sappiamo benissimo: genitori non si nasce, ma lo si diventa con l’esperienza, il tempo e la pazienza.
Usato fin dalla nascita… funziona!!! ❤️
Lucia Pellizzeri