Non si tratta dell’ultima scoperta medica ma di un metodo utilizzato, e molto controverso, fin dal 1955 nella cura dei piccoli pazienti cerebrolesi. Il trattamento è basato sulla stimolazione neurologica attraverso alcuni movimenti specifici ed esercizi fisici, insegnati anche ai genitori che diventano anche loro protagonisti attivi del programma.
Cos’è il metodo Doman?
I genitori dei bambini cerebrolesi quasi sicuramente avranno sentito parlare del metodo Doman, un approccio terapeutico che mira a massimizzare le capacità intellettive non solo dei piccini colpiti da problematiche cerebrali (come autismo, spasticità, sindrome di Down, disturbi dell’apprendimento etc.) ma anche di quelli normodotati. L’obiettivo del metodo è quello di agire sulle cause della patologia e non sui sintomi, attraverso una stimolazione neurologica totale che possa consentire alle aree cerebrali compromesse di riattivarsi e riuscire ad acquisire autonomia. Il primo passo verso il recupero delle funzionalità è la verifica delle capacità sensoriali del bimbo, con attenzione particolare a quelle visive, tattili e uditive, della mobilità, delle abilità manuali e dell’uso del linguaggio. Il secondo step, invece, riguarda la formulazione di un programma personalizzato attraverso una serie di movimenti ed esercizi fisici che saranno poi spiegati anche ai genitori che avranno il compito di seguire il bambino a casa per un periodo di circa sei mesi. Al termine di questo periodo, durante il quale sarà mantenuto un contatto costante con gli specialisti, si potrà decidere se accedere eventualmente a un programma intensivo.
Le critiche al metodo Doman
Buona parte dei neuropsichiatri infantili oggi è contraria ai principi compresi nel metodo Doman per due ragioni fondamentali: innanzitutto perché si tratta di un approccio terapeutico “vecchio stampo” che non tiene conto delle novità introdotte negli anni in materia. In secondo luogo, e questa è probabilmente la parte più discussa, perché il metodo applicato ai bambini normodotati si prefissa di spingerli all’eccellenza con una precocissima e innaturale acquisizione degli apprendimenti, senza tener conto della loro emotività.