Appena ho partorito l’unica cosa che volevo fare era tornare a casa. Era giugno ma c’era molto caldo e non riuscivo a sopportare le temperature del reparto. Avevo Francesco vicino a me giorno e notte e non sapevo che cosa fare. Piangeva poco e dormiva tanto, ma la mia peggiore preoccupazione era capire se o quando doveva mangiare. Mi sono affidata ai consigli delle mamme delle altre ragazze in stanza e ho sperato prima possibile di ritornare a casa. Ho avuto un parto normale e senza complicazioni, e anche se alcune ostetriche hanno fatto notare la velocità del mio travaglio, io mi sentivo comunque provata. Provata e dolorante. Completamente scarica.
Avevo portato agende e penne per raccontare le mie emozioni, ricevevo tanti messaggi dalla mia famiglia lontana. In quel letto di ospedale non muovevo un muscolo se non per stare con lui, il piccolo angelo che avevo partorito. Il telefono restava su quel comodino senza padrone, come se non fosse mio, e penne e agenda sono rimaste in valigia. Ho trascorso tre giorni e mezzo a fissare mio figlio, a chiedermi se l’avevo fatto io. Lo guardavo incredula e avevo sempre voglia di piangere anche se non potevo.
Rientrare a casa dopo il parto sarebbe stata una liberazione. Mia madre poteva aiutarmi, io potevo capire e conoscere i ritmi di Francesco, ce l’avrei fatta. Avrei superato tutti i dolori, avrei allagato la casa di lacrime di felicità per questo grande dono e di lacrime di tristezza perché avrei voluto vicino i miei cari e invece erano lontani a soffrire come me.
Parlarne oggi mi rende ancora inquieta, perché sono emozioni impresse nel cuore ed è come se le vivessi ora. Mi sento ancora in quel letto di ospedale e mi sembra oggi il momento in cui ho ricevuto la lettera di dimissioni. Il viaggio di ritorno a casa. L’ingresso emozionante e la visione per la prima volta del fiocco nascita in suo onore. I fiori di mio marito con una dedica speciale per noi due, la bellissima pianta di mia mamma che ancora sopravvive nel soggiorno. Il fiume di lacrime che non riuscivo a bloccare.
Ero a casa. E c’era anche lui. Eravamo a casa. Insieme.
Finalmente potevo decidere come sedermi su una sedia senza sentire dolore. Potevo allattare a ogni ora senza disagio, sperare di riposare, sentire meno caldo. Organizzare la mia nuova vita di mamma.
Non è stato proprio così idilliaco, anche se mi sembra ancora di vivere tante emozioni magiche. Il rientro a casa non è stato come pensavo e ai tre giorni di stanchezza in ospedale se ne sono aggiunti di nuovi.
La verità è che io volevo stare sola. Volevo stare con il mio bambino per imparare a viverlo. E invece il campanello suonava a tutte le ore e io dovevo essere pronta, pronta per tutti.
Per quanto a nessuno importi di come sei messa dopo il parto, e a ogni momento ripetono che stai benissimo e che è normale sentirsi all’interno di una lavatrice con azionata la centrifuga, a me importava poter ricevere gli ospiti senza dolori. Volevo sorridere con sincerità, far vedere la stanchezza ma anche la gioia della mia nuova vita, volevo vivere quel momento con più tranquillità.
Non volevo fare i doveri di casa mentre pensavo soltanto che una volta chiusa la porta e di nuovo sola sarei corsa in bagno, non volevo fingere di essere comoda in una sedia o sul divano senza poter decidere in quale posizione stare meglio, non volevo ricevere visite alle nove di sera. Perché a quell’ora ero ancora più stravolta e provata di quando ero in ospedale. Ero stanca. E avevo bisogno di aiuto, non di visite.
Oggi che è passato del tempo sento ancora il peso di quel periodo e se potessi urlerei al mondo intero che una mamma subito dopo il parto cerca conforto, solidarietà, aiuti per le cose più semplici. Una mamma subito dopo il parto ha necessità di una catena umana che si stringe intorno a lei e al suo bambino per farle sentire il suo calore. Tutto il resto non conta, pur se fatto in buona fede.
Sante…Santissime parole. Io ho rielaborato la mia esperienza in chiave piu ironica ma il concetto è lo stesso!
È così.
Quanta rabbia ancora ho..
Proprio vero ….
Respect!!
Idem per me. La fortuna è essermi trasferita lontano dal paese.. perché parliamoci chiaro.. tutte le visite a casa dei parenti e conoscenti a raffica possono risultare sgradevoli.
I punti, la stanchezza, la novità, una nuova vita senza libretto di istruzioni..
ma soltanto un grande istinto materno da affinare e scoprire.. una meraviglia pari a nessun altra..
Chi è venuto a casa mia dopo le dimissioni dall ospedale ha avuto la decenza di aspettare parecchi giorni. E io l ho apprezzato. Non mi sentivo pronta per condividere quello atmosfera intima tra me, mio marito e mia figlia.. questo, insieme a tanti altri, è uno dei ricordi più dolci che porto nel cuore..
Peccato che c’e’ chi non ci arriva.
E ti piombano dentro casa con un’invadenza prepotente e passi pure pure maleducata…
E meno male che ci sono passati…
C’e’ differenza tra essere presenti e essere invadenti
Brava ho vissuto stress di visite mentre dovevo allattare io stanca dolorante e tutta scomposta insomma quello del rientro a casa dovrebbe essere chiaro a tutti che la mamma ha bisogno di privacy e tranquillità
I primi a capirlo dovrebbero essere anche i nonni…che si sentono in automatico in diritto di piazzarsi in casa. Magari con il buon intento di esser d’aiuto, ma non capendo che la loro forma d’aiuto non è quella di cui la neomamma ha bisogno..
Anche io del primo sono stata stressata da visita ecc..nn hai voglia solo d un Po d intimità almeno i primi tempi
Quanto è dannatamente vero! Rivedo me stessa
Verissimo. ..
Giulia Sancesario leggitela