Ci siamo occupate della casa. Ci siamo occupate dei compiti. Ci siamo occupate della tavola, dei letti, della stanza dei giochi, della polvere che si accumulava sulla libreria.
Ci siamo preoccupate della salute dei nonni, e che il lavoro fosse al suo posto al nostro rientro. Ci siamo inventate giochi inverosimili per intrattenerli per mesi, sottraendoli all’egemonia della tv ventiquattrore su ventiquattro, e ci siamo organizzate per far sentire la nostra voce, sempre troppo flebile, sull’importanza di tornare a scuola il prima possibile.
Ci siamo arrabbiate con il mondo, che ha mostrato, questa volta più che mai, quanta poca considerazione avesse dei bambini e delle donne.
Assistendo ai soliti tavoli dirigenziali in giacca e cravatta con assenze femminili e nessuna proposta costruttiva per la famiglia.
La rabbia, i momenti di rassegnazione e quelli di speranza. L’energia tutta femminile, delle mamme e di quelle che non lo sono, ci ha caricato dopo giorni spenti, difficili.
Si sono rimbalzate notizie drammatiche e numeri più sereni.
Alcune sono tornate a lavoro, dopo organizzazioni acrobatiche, per assenza di nonni e bonus baby sitter. Altre hanno continuato a rimanere a casa, con occhi così stanchi da sembrare pesti.
Non importa quanto tutte noi siamo state spremute, sino al midollo, in questo periodo più che mai, perché rimaniamo invisibili, tanto per cambiare.
Abbiamo gestito, in incasinatissime chat di classe, i rapporti con insegnanti, presidi, altre mamme ed alunni. Appuntamenti su zoom, videoconferenze varie, compiti ed interrogazioni on line, merende virtuali tra bambini e tutto il resto della nostra e della loro vita.
Per l’ennesima volta le nostre spalle, fisicamente minute rispetto alle loro, hanno preso la parte più grande del peso.
Per l’ennesima volta abbiamo dato il massimo. Spesso con grandi sorrisi, in mezzo a legittimi isterismi.
Siamo state grandi. E no, non vogliamo un applauso, come loro pretendo dopo un goal a calcetto. Ma non vogliamo rimanere indietro.
Non vogliamo la ola, ma non vogliamo farla per una lavatrice caricata dal papà, per la loro passeggiata con il bimbo sulle spalle.
Non vogliamo la folla ad acclamarci, ma non vogliamo sentire beata te perché lui gioca con le bambine, va al supermercato, va in cortile con il pallone ed il grande.
Non vogliamo rimanere sempre indietro perché dimostriamo, come al solito, spirito di squadra, di sacrificio, di solidarietà, di comunità.
Non siamo migliori, quanto meno non in senso assoluto. Non siamo tutte uguali. Come loro, grazie a dio, non lo sono.
Ma non vogliamo dover più rispondere, ad un colloquio di lavoro, a domande tipo: hai figli, vuoi dei figli, sei sposata?
Perché noi, la maggioranza di noi, come al solito, anche a questo giro, ha dimostrato che se andrà tutto bene, sarà al 90% per merito nostro.
Non siamo la moglie del dottore, dello scienziato, quello del direttore. Siamo la dottoressa, la scienziata, la direttrice. Ma anche non fossimo nulla di particolarmente qualificato, siamo quelle che si fanno il mazzo quadrato. E senza di noi, come pure senza i bambini, insomma, senza questo NOI che volete lasciare indietro, la bottega chiuse per sempre.
Per un beata te, perché lui non si è perso in un bicchiere d’acqua, c’è una donna, una mamma stanca morta, che non è un’acrobata vera solo perché non ha avuto il tempo di seguire il corso, che fate sentire sola, invisibile. Come al solito.