L’ha tenuto nascosto in cartella per due giorni. Poi quando mi sono alzata domenica mattina era già lì: mio figlio, dieci anni serrati in un temperamento schivo, scansa i baci però poi chiede una coccola, non abbraccia però si lascia stringere.
Chi sono, i nostri figli? Chi sono, questi bambini che diventano ragazzi?
Nemmeno il tempo di caricare il caffè, si china nel suo zaino di scuola: “Te lo voglio dare subito”.
La casa è zitta nei sonni degli altri, senza la premessa di un caffè potrei mandare il mondo intero a quel paese. Invece afferro quel biglietto che mio figlio mi dona: ibischi in un mazzo, colorati a pennarello e a matita, tenuti da un fiocco che è vero, un nastro fucsia.
L’interno custodisce una poesia di cui non è riportato l’autore. Chi dice che i lavoretti fatti a scuola non valgono la pena, che sono sterili costrizioni, forse non ha un figlio riservato che poi s’affretta, e sua madre si colma afferrando quel cartoncino.
Perché se la poesia non è sua, se il disegno è impartito dalle maestre, nessuno comanda le mani di un bambino, le sue fossette che si forano d’orgoglio e timidezza. E nessuno comanda i miei occhi che un po’ traballano.
La poesia dice che le fate esistono ancora. Non vivono lontane, non vivono in posti dimenticati o immaginari: sono le mamme.
E io penso che, almeno un po’, è vero.
Sono le mamme che si sfiniscono in giorni ruvidi e poi risalgono la corrente, sono le mamme che si dimenticano quanto valgono e poi si ritrovano in un mazzo di ibischi. Sono le mamme che raccontano fiabe, che leggono di principesse e di eroi e poi scoprono di essere protagoniste di avventure reali.
Sono le mamme, fatte invincibili dagli sguardi dei figli. Pronte a sfidarsi e confrontarsi con quello che essi saranno: quando non tutto sarà facile né loro così eternamente speciali, e forse una lancia, un’offesa, una rivendicazione sarà scagliata da occhi che prima s’accendevano senza sosta.
Ma sono fate anche quando si sentono perse. Quando gridando sembrano streghe.
Quando scapperebbero e invece un nastro le tiene. Fate ogni volta che la scintilla ritorna, che se non basta un momento o una memoria allora varrà una ricorrenza. Un giorno di figli che trafficano e si chiudono in stanza a confezionare disegni, in cucina a cuocere cuori di frolla.