Il tempo dei bambini non ha calendari né orologi. Si conta in nanne: quelle lunghe delle notti e quelle brevi dei sonnellini.
Le date sono eventi senza il segno inutile del giorno: sono “la volta che siamo andati al mare”, “la festa del mio compagno.” Domande come “Quand’è il mio compleanno?”, “Quando partiamo?”, si mescolano con Natali appena passati anche se è agosto, con pomeriggi brevissimi in giro, nel loro rivendicare: “Siamo stati solo cinque minuti!”, il presto e il tardi sono concetti che non li riguardano.
È giorno se c’è la luce, è notte quando fa buio. E se per caso la luna, furba o dispettosa, chissà, sbuca già nel tramonto, la indicano confusi e domandano: “Perché c’è già la luna?”
“Perché in inverno il sole cade presto, allora lei esce subito, per non lasciare il cielo da solo.”
Il tempo dei bambini è così deliziosamente disorganizzato: confondono ieri e domani, dicono “domani siamo andati”, “ieri andiamo”, spalmano il presente a loro piacimento, lo fanno diventare sempre vero e sempre verde, con la bacchetta magica di due occhi furbi.
Il tempo dei bambini è piccolo e gigante.
Siedono in macchina per lunghi viaggi, chiedono “quando siamo arrivati?” dopo pochi minuti.
Salutano la nonna che riparte come fosse niente: non hanno la misura degli addii.
Contano saltando i numeri perché saltando volano. Non hanno i sassi nelle azioni e dentro gli orologi. Non hanno fretta, quando vorresti, quando per casa li insegui per una maglia da mettere, un cappuccio da sfilare. Quando una bambola beve da un biberon o un pentolino si riempie di ghiaia.
Però hanno l’impazienza che freme vicino a una promessa: la calma placida di un attimo, diventa indomabile un istante dopo. Allora non li puoi rallentare, ché corrono veloci e leggeri.
Perché il tempo dei bambini è un palloncino dal filo sottile, scappa via per un soffio, scivola da manine operose, e se li aiuti a tenerlo in verità solleverà anche te, su, oltre le cose, in mezzo al cielo. Perché è lì che abitano, astronauti senza gravità.