È da tanto tempo che me lo chiedo. Ronza nella mia testa, ma non trovo una risposta. Lo chiedo al papà delle mie figlie, ma anche lui non sa rispondere. Lo chiedo alla mie amiche, ma anche loro, con lo stesso quesito fra le dita, fanno il conto con una risposta mancante.
Allora lo chiedo ad alta voce, lo chiedo a voi.
Come si insegna alle bambine che essere educate, sorridenti, solidali, gentili e disponibili, non deve diventare un modo per volere più bene agli altri che a se stesse? Che dire di si, fare una cortesia, una gentilezza, non deve implicare un sovraccarico di impegni altrui. Che cercare di capire le altre posizioni, essere empatiche, non deve tradursi nel far passare in sordina i torti ricevuti. Che non essere aggressive, non deve rischiare di farsi ammansire.
Ogni mamma lo sa in cuor suo, e chi lo nega mente. Sa quanto l’essere stata educata come una brava bambina, come una brava ragazza, le abbia reso la vita, come donna in primis, un po’ più difficile. Lo sa quanto quei “non te la prendere, lascia correre, non essere aggressiva, non essere competitiva, sii gentile, aiuta chi ha bisogno”, siano state delle zavorre a scuola, sul lavoro, nel rapporto con i partner.
Siamo state educate, ovviamente motivati dalle migliori intenzioni, da genitori che ci hanno rese morbide, dolci, tenere, tutte buone cose, se non fosse che siamo cosi sprovviste di armi per dire la nostra, per capire che non si può essere solo brave, che non siamo delle crocerossine.
È difficile insegnare ad una figlia ad essere una buona bambina “entro certi limiti”. Le sfumature fra brava e cattiva (qualunque cosa vogliano dire) non ci sono chiare. Nessuno ci ha mai illustrato le alternative. Difficile far capire che essere buone non vuol dire essere sempre disponibili, porgere sempre l’altra guancia, farci stare bene situazioni che non stanno affatto bene.
Come si fa a spiegare ad una bambina che deve essere brava a scuola, disponibile anche con il compagno che sta più indietro nell’apprendimento, ma senza che questo le bruci le energie ed il tempo. Come si fa spiegare ad una bambina che deve studiare, deve pretendere molto da se stessa, ma che, ad un certo punto, ci si deve buttare, come fanno i maschi da sempre, anche se si è un po’ insicure.
Come si fa a spiegare ad una bambina che deve diventare una ragazza assertiva, perché nel mondo del lavoro gli atteggiamenti positivi e fattivi premiano, ma che deve darsi un limite, per marginare il rischio che ti facciano fare sole fotocopie, pagata meno di quanto ti spetta.
Ogni volta che trasmettiamo certi valori alle nostre figlie, lo vediamo il pericolo: quello di diventare Candy Candy, mettendole in mano ad un mondo che con il femminile ha dei problemi ancora grossi.
Come si fa a fornire alle nostre figlie gli strumenti che, per anni, non sono stati trasmessi alle bambine? Da dove partiamo?
Certo, voi direte, anche crescere i maschietti non è facile. Ed io sono d’accordo, ognuno ha il suo livello di complessità, soprattutto in base all’indole, alle circostanze, piuttosto che al sesso. È innegabile, altresì, che la vita di una ragazza (e lo sappiamo bene) è un’eterna lotta per dimostrare qualcosa agli altri, lì dove per i maschi molto è scontato senza alcuna battaglia da vincere. E questo avviene anche per come siamo stati cresciuti tutti uomini e donne.
Noi, troppo spesso poco combattive ed eccessivamente generose nel comprendere, nel cercare di capire, nel fornire un alibi.
Loro, invece, più concentrati sui propri bisogni.
Non sempre ce ne accorgiamo, non sempre ne siamo consapevoli e questo in parte anche a causa d quel “si signore, certo, ha ragione, mi scusi”, con il quale siamo state cresciute. Quelle brave ragazze che devono sempre dimostrare qualcosa per essere accettate, per sentirsi sicure.
Lo sappiamo e chi nega, lo ripeto, mente.
È da tanto tempo che me lo chiedo. Ronza nella mia testa, ma non trovo una risposta. Ora lo chiedo a voi: come facciamo ad uscire da tutto questo? Da quell’unica strada che è stata ammissibile per anni: quella della brava bambina, della brava ragazza.