L’esercito invisibile delle neomamme tristi: ecco il docufilm che aspettavamo.
Quando una donna partorisce, viene travolta da uno tzunami di sentimenti contrastanti: tempesta ormonale, paura di non essere in grado di affrontare la nuova condizione, stanchezza cronica, non accettazione della nuova forma fisica e una tristezza inconscia per non essere più solo figlia, accudita e al centro delle attenzioni.
Quella della neomamma è una condizione difficile, di cui si tende a parlare sempre poco e a cui non è data la giusta rilevanza, proprio per questo il docufilm “I nove mesi dopo” ha fatto tanto parlare di se con contenuti che gettano luce sui disagi che le mamme provano subito dopo il parto.
Serviva un documentario per svelare il dramma che vivono milioni di neomamme incomprese, donne sofferenti che nei casi peggiori cadono in forti depressioni dalle quali è difficile uscirne e che possono sfociare in drammi familiari da cronaca nera.
Per tale ragione, il regista vuole mettere in guardia i familiari sul rischio che si corre, invitando a parlare insieme del disagio che si sta vivendo e delle soluzioni a cui è possibile ricorrere.
I nove mesi dopo: il diritto delle neomamme a non essere felici
Quando una donna partorisce, tutti si aspettano che lei sia felice: felice di aver partorito, di essere diventata mamma e di avere un meraviglioso esserino da accudire, amare e allevare.
Al netto delle ragioni che conducono una donna ad avere un figlio, anche la più convinta e preparata neomamma rischia di essere travolta dalla depressione post-partum.
Non c’entra il fatto di aver voluto un figlio a tutti i costi, di sentirsi amata dal proprio partner o di non avere un lavoro appagante che l’aspetta, la tristezza che cresce nel cuore di una neo-partoriente scaturisce da fattori biologici, psicologici e ambientali che talvolta è difficile prevedere e controllare.
Parliamo dello scombussolamento ormonale causato dalla gravidanza, del cambiamento delle sue abitudini quotidiane, del non essere più libera di svolgere le proprie attività in modo autonomo, neanche le più elementari come fare una doccia, andare al bagno o fare la spesa.
La dipendenza che vive il neonato, infatti, cambia profondamente la donna che non riesce ad abituarsi subito ai nuovi ritmi, soprattutto quando non ha il sostegno di una rete familiare che la aiuti nelle faccende quotidiane, la ascolti e comprenda i suoi travagli interiori.
È proprio questa sofferenza che si intrufola nella mente della neomamma e striscia come un serpente nel suo modo di essere, di sentire e vivere la maternità che avvelena la sua vita, trasformandola in un dramma.
Una situazione che esiste da sempre ma che è venuta alla luce solo da qualche anno e di cui stanno iniziando a parlare psicologi, sociologi e attiviste allarmate dai casi di infanticidio e dai suicidi di giovani donne, apparentemente felici. “I nove mesi” dopo tratta l’argomento con grande sensibilità ed empatia, grazie ai registi Vito Palmieri, Mariagrazia Contini e Paolo Marzioni che hanno raccontato la storia di quattro mamme nei nove mesi successivi al parto, ambientandole a Bologna.
Nove mesi dopo: la storia
“Nove mesi dopo” racconta quattro storie molto diverse tra loro: quattro donne che provengono da contesti sociali e culturali diversi ma con un elemento in comune, il non sentirsi capite. Il leitmotiv del docufilm è proprio la condizione della donna che non viene più vista come partner da corteggiare dal marito o dal compagno o come figlia da ascoltare e amare dalla mamma, ma solo come “mamma del neonato”.
Ecco, probabilmente questo docufilm sarà considerato una pellicola-manifesto che rivendica il diritto della neomamma a non essere felice, a essere guardata ancora come una donna attraente, come una persona portatrice di interessi propri, e non solo come mamma.
Bisogna parlarne sempre di più per abbattere gli stereotipi che ruotano intorno a questa fase della vita e che schiacciano, fino a uccidere interiormente.
Così i registi di questo straordinario progetto stanno portando avanti l’idea di liberare le donne da ogni obbligo di felicità che le distrugge più che gratificarle, portandole a esprimere i loro sentimenti senza il timore di essere giudicate.
Non esiste, infatti, solo un modo di essere mamme, ogni individuo è diverso dall’altro ed esprime i propri sentimenti in modo assolutamente unico e individuale. Questo significa che ogni donna ha diritto di essere se stessa, manifestare insofferenza, insoddisfazione, infelicità nonostante sia stata fortunata ad aver partorito un bambino, nonostante un matrimonio felice, nonostante il fatto che non le manchi nulla. Nonostante tutto.