Di “intensive parenting“, o genitorialità intensiva o maternità intensiva, se ne parla dal 2000 ma il fenomeno ha iniziato a prendere piede già negli anni ’90.
Il termine potrebbe lasciar intendere un legame con l’onnipresenza del genitore nella vita di un figlio, in realtà è un insieme più complesso di fattori e abitudini, che si snodano su diverse problematiche e coinvolge quasi tutte le classi sociali.
Le caratteristiche della genitorialità intensiva
Sebbene il fenomeno riguardi ambo i genitori, tende a colpire maggiormente le donne, in quanto socialmente più vincolate al ruolo di educatrici e “sorveglianti” della prole.
Spesso sono infatti le madri a sacrificare carriera, aspirazioni e tempo libero per seguire da vicino i figli, pena un severo giudizio sociale di inadeguatezza.
La presenza costante – intensiva appunto – sia fisica che emotiva è un fenomeno in crescita.
Sono sempre di meno i ragazzi che vanno a scuola da soli (anche quando il tragitto consentirebbe di farlo senza pericoli), che fanno i compiti da soli, o vengono lasciati senza uno smartphone per controllarli sempre quando sono fuori casa.
Molti bambini e adolescenti non sanno risolvere piccoli imprevisti e problemi in maniera autonoma, scegliere un hobby o rimanere da soli anche per brevi periodi, perché per eccessivo timore non viene mai data loro l’occasione di vivere tali momenti da soli.
Il risultato sono adulti insicuri, estremamente ansiosi, incapaci di scegliere e creare un futuro per sé stessi o avere una propria identità, di affrontare e risolvere i problemi della vita di tutti i giorni, o anche solo provvedere a faccende domestiche basilari.
Anche le troppe attività sono rischiose, sempre più diffuso infatti il riempire costantemente di “appuntamenti” i figli, per il timore di non aver offerto loro abbastanza stimoli con cui formarsi. Sport, musica, arte e varie attività, da passioni e passatempi diventano dei veri e propri obblighi sociali, col risultato che il bambino tende a non riuscire a seguire o appassionarsi a nessuna di queste cose.
Si formano dunque una serie di aspettative elevate e l’impossibilità implicita per il bambino di sbagliare, affrontare sconfitte e fallimenti: il genitore è sempre alle sue spalle, pronto a prenderne le difese, a giustificarlo, a parlare per lui ed impedirgli di vivere rischi di tipo “formativo“. Un secondo lavoro estenuante, frustrante, anche per il genitore stesso.
Perché si diventa vittime della genitorialità intensiva
Il fenomeno deriva dal timore di vedere i propri figli vivere una “caduta sociale” in età adulta, trasformandoli implicitamente in un’estensione di sé e del proprio status.
Tutti vogliono il meglio per i propri figli e questo va bene, ma l’eccesso diventa dannoso: può sfociare in diverse patologie in futuro, oltre che danneggiare gli stessi genitori eccessivamente affannati da un fenomeno che li priva del proprio tempo, oltre ad essere particolarmente oneroso.
La soluzione? Accettare che i figli sono individui distinti da noi, imparando a differenziare anche l’educare dall’intrattenere. Essere presenti nella loro vita non significa viverla per loro.