La famiglia è una materia plastica. Lo penso stesa sul letto, un webinar che mi ero prenotata. Il cielo oggi è fiacco, si era detto la piscina, poi Aladdin al cinema. I figli si sono alzati in una di quelle domeniche da ring. Non so se avete presente. Glielo devi spiegare, che sarebbe riposo anche per te. Verrebbe da ribattere quel salvifico “non meritate niente” che a volte ci esce da solo. Invece.
Invece va che poi qualche programma lo azzardi, li sgabbi. Allora vince la piscina. Non è che ci arrivi subito, ci arrivi per scommesse, votazioni. Garriti di chi è in minoranza.
Solo che io rimango. Ciao mamma: vanno che è il momento del mio impegno. E la casa si vuota.
Lo penso mentre ascolto il mio programma, a cavallo dell’ora di pranzo. Di un’ora senza ore.
Si riespandono i tempi, con la crescita dei figli. Crescono insieme alle magliette, si allungano con i calzoni. Si dividono gli spazi.
Per anni e anni mi sono serrata al marito e ai bambini. Non c’era spesa che non ci buttasse in auto tutti insieme al sabato pomeriggio. Non c’era weekend che ci distribuisse. Siamo sempre stati tessere di un puzzle che conosceva un solo luogo, ci si muoveva compatti e morbidi come le alghe in fondo al mare.
Ho sempre pensato fosse “unità”. Mi sono sempre chiesta di quelle famigliole in cui uno fa la spesa e l’altro tiene i bambini: a noi, la spesa insieme, piaceva, i figli erano un entusiasmo di etichette dell’ortofrutta sui sacchetti (che non essendo di mais tenevano pure).
Erano cosce cicce nei seggiolini dei carrelli. Erano la furbizia di scegliere una merenda in più proprio sull’ultimo rettilineo verso le casse. Erano la cassiera che ormai sapeva il loro nome. Ho sempre pensato che fosse unità.
Finché un giorno ho cominciato a capire che avevo paura di staccarmi
Non ero capace.
Non lo ero io, e non lo era, forse, nemmeno mio marito.
Si poteva dividere il nostro tempo. Si poteva scardinare quel tutti-insieme-ad-ogni-costo: uno al parco, un altro a casa. Uno al supermercato. L’altro a passare una cazzo di scopa. Si poteva spezzare la famiglia: senza farsi male.
È solo che ho visto troppe famiglie in cui da lì alle porte chiuse passa poco. Ho visto famiglie in cui diventava normale rientrare e non avere alcuna domanda. Restare e non chiedere “ti sei divertito?”. Salutarsi senza impazienza. Uscire per scappare.
E così ho fatto tutto il contrario per anni. Finché esigenze tecniche cominciano a farti vedere che in un modo o nell’altro dovrai imparare. Fidarti. Che si va. E poi si torna.
Che l’unione fa la forza, a volte. Altre, la forza la fa la separazione. Dividi et impera. Dividi et impara. La famiglia è plastica, flessuosa. È quello che vuoi che diventi, che ti impegni a creare. Un po’ la cambi, un po’ ti cambia lei.