Fuori c’è questa pioggia insulsa. Dentro, tutti in una grande cucina che riempiamo come un uovo. Schiamazzi. In certi momenti li manderei tutti a quel paese. È il chiasso della domenica mattina.
Rumori di lego, e poi voci che schizzano altissime. Canticchiano e poi s’azzuffano. E poi s’acquietano. Dovrebbero inventare un “bimbocomando”, un telecomando per i figli, che gli metti il mute. E ti fai le tue cose.
A volte resistere ai figli è come remare contro corrente. Inizi dieci cose. Non ne finisci nessuna. Ne fai una più semplice. Nemmeno quella.
La verità è che il loro casino ti fa gola.
Ché mica hanno bisogno di tanta organizzazione: loro quelle cose – dieci – le fanno e le lasciano a metà, e mica li disturba. Gli viene un’idea, la seguono. Aprono la scatola dei pastelli mentre le bambole aspettano ancora il finto biberon. Poi i pastelli restano sul tavolo sotto il ponte di Lego che stanno costruendo.
E tu glielo dici, va’ che questa è la mia cucina, non puoi fare questo casino. Il gendarme. Hai ragione, l’ordine e il rispetto degli spazi fanno parte dell’educazione. Però un po’ ti prende la mano. Alla fine della giornata ti accorgi che la parola che hai detto più spesso è “basta!”.
C’è qualcosa che non c’entra con l’amore.
Mi viene in mente un ragazzotto che venne a portarci il frigorifero nuovo. Era estate, i miei tre giravano intorno all’evento di quel grande scatolone argentato.
– I bambini sono la gioia della casa. – Con quella S sudamericana. Me lo ricordo ancora.
Poi c’è l’umore: gli stessi pastelli, se sei in un giorno buono, mica ti danno fastidio. Nemmeno lo yogurt che non lo voglio più.
Neanche il divano che non si salta, però poi una sera gli lasci fare il percorso avventura che per poco non sgozzano quei sedili, perché in fondo è uno spettacolo troppo bello.
L’educazione. Non è sempre questa, la ragione dei “no”. E anche lo fosse: è davvero, sempre, la cosa più importante?
Tre soldatini composti, “grazie” e “prego” al fondo di ogni frase. Il bacio obbligato ai parenti, il pizzicotto delle signore al super. Tre piccoli ossequiosi tenuti su dal rigore, tutti sull’attenti.
Preferisco l’unicità, che tutti “bravi”. Preferisco un bacio mancato, che quell’inchino forzato che rende fiere le madri. Un sorriso entusiasta vale più di un “grazie”.
I bambini sono l’occasione per uscire dai nostri schemi, non la missione di farli entrare nei nostri.
Forse l’ordine e il silenzio possono aspettare. Aspetteranno molto. Ma si può fare.
Forse alla fine è meglio accorgermi che in tutti questi rimproveri ho dimenticato la gioia. Quella del sudamericano del frigorifero.