Se mi chiedete qual è la mia massima aspirazione, al momento. Se mi domandate la mia vacanza tipo: vi dico “sola in una baita alpina”. Non ci metto l’isola deserta semplicemente perché non so nuotare e perché da una baita, bene o male, puoi scendere all’alpeggio e fare due parole col pastore.
Perché di fatto avere tre figli a tempo pieno, lo diceva già mia sorella, non è vacanza: “Tanto, vacanza o meno, cosa cambia? Sei sempre con loro”.
Forse è proprio questo, che cambia: sei sempre con loro. Giorno e notte. Madre senza possibilità di margine, di errore, di amnesia. Senza pausa. Puoi mai scappare?
La maternità è un laccio stretto. È alzarsi la notte, anche se sei in ferie, è camminare lenta in montagna, perché i bambini hanno zampette corte, perché sono stanco, ho sete, mi stufo.
È fare discorsi e vederli rotti ogni minuto, sei sotto l’ombrellone e pensavi che chissà quali grandi scambi potevi intavolare. È pulire più sederi del solito, cucinare sempre per tutti.
È viaggiare con un gregge che bela imperterrito “mi annoio”, e poi arrivare e dopo i primi entusiasmi avere ancora e ancora un ritmico “mi annoio”.
È fare piani e poi scendere a compromessi, è girare città a morsi minuscoli: un aperitivo di città, altro che turismo. È spiagge dove le uniche sdraio che vedi davvero sono quelle degli altri.
È sabbia da scrostare. Creme da spalmare. Tovagliette da disegnare al ristorante per tenere occupati i figli. Giochi in scatola se piove e sonnellini in cui cercare tregua.
Che vacanza è, allora, quella delle madri?
È la vacanza di chi sa che quest’anno è solo quest’anno.
È solo quest’estate che tuo figlio è appena nato. Che è così breve da starci da gomito a palmo. Così fragile che andate in un posto più vicino del solito per abbreviare il viaggio. È solo quest’estate, la prima che ha un fratellino, due posti occupati in macchina, di dietro.
È solo quest’anno che gridano i denti nella notte e quando torni a letto levi le pantofole perché il pavimento non mormori. È solo adesso che tieni quella lucetta ammiccante in corridoio. È solo per un mese che spalmi creme protezione ottanta, che allatti in mezzo a una piazza sbranata dal sole, che chiedi ai vicini “abbassate la radio”.
È solo quest’estate che impara a nuotare coi braccioli, che va all’assalto della piramide di corda, che dice la sua prima erre e tu non te la perdi. Che sbaglia i verbi e ha tutto il tempo per dirti “ti voglio sposare, mamma” e fare domande strampalate.
È solo adesso che tiri i figli per un braccio, dai ancora un po’ di salita e poi siamo arrivati. Che vorresti andar veloce tra gli abeti, fin su a quel pascolo e la baita che sogni: è solo quest’anno che hai quelle dita che ti amano nella tua mano. Che strisciano per casa i “non so cosa fare”, e allora qualcosa te lo devi inventare. Che arrivano da tergo i “mi stufo” mentre siete in coda al casello. Che uno di loro ha svuotato il flacone del bagnoschiuma sulle piastrelle, che la piccola ha una scheggia nel piede. E che anche gli incidenti faranno quella magia incomprensibile di diventare adorabili quando li ripensi.
Cavoli… non è che puoi fare la scorta: non puoi amare tutto in una volta solo perché non saranno bambini per sempre. Eppure è solo quest’anno che sono esattamente quello che sono.
Con un quintale di solite cose che non cambiano in vacanza: il bacio della notte, gli strilli per un no, il libro sulle ginocchia, i pastelli sul pavimento, il pupazzo che non lo trovo, mamma aiutami, le urla per il posto a tavola, il vestito che gli allacci e intanto srotoli un abbraccio. E due quintali, un’infinità forse, di dettagli che sono solo adesso.
Perché l’estate prossima già sarà diverso, perché sono i nostri figli, ma i figli non sono nostri. Perché quel laccio della maternità si slenta anche se non sei tu a smollarlo.