I bambini mi annoiano (esclusa qualche rara eccezione), non sopporto le loro domande petulanti e illogiche e, tra l’altro, trovo assolutamente pertinente e geniale l’idea del ristoratore di Milano di vietare l’ingresso nel proprio locale agli under 5. Detto questo mi chiedo: saprò essere una buona madre o almeno una genitrice da sei meno meno? Riuscirò mai a conciliare lo spirito di sacrificio con il mio carattere insofferente e inquieto? Poi un pensiero fa capolino nella mia testa e mi offre un po’ di conforto: i propri figli non possono essere considerati “bambini” alla stregua di tutti gli altri e con buone probabilità mi ritroverò persino io a osservare incantata le sue smorfie e a rispondere, fornendo lucide argomentazioni, a tutti i suoi mille perché. Al momento, tuttavia, in attesa che l’ossitocina, ovvero l’ormone dell’amore che viene secreto al momento del parto, mi renda più “materna” e flessibile, continuo a stressare M., il mio super-saggio compagno.
E il futuro papà cosa ne pensa?
Quando nei mei sfoghi logorroici (ovvero quando parlo ininterrottamente senza prender fiato fino a quando la bocca mi si impasta per completo esaurimento del liquido della cavità orale) faccio l’elenco di tutti i motivi per cui i bambini non mi sono simpatici, sottolineando il fatto che preferisco di gran lunga dormire con un border collie piuttosto che con un lattante, M., il mio compagno, mi guarda basito, perplesso e terrorizzato. Ricordo quella medesima espressione sul suo volto quando, circa 6 o 7 anni orsono, eravamo in aeroporto in procinto di imbarcarci per un viaggio lungamente atteso e desiderato; orbene, dopo il controllo doganale di rito, mentre mi rinfilavo gli stivali tacco 12 borchiati che avevano fatto strombazzare l’odioso rilevatore di metalli, ho accidentalmente abbandonato i nostri biglietti sul nastro trasportatore. Dopo aver percorso la scala mobile che ci conduceva al gate, mi sono resa conto di quanto accaduto e con un filo di voce l’ho comunicato anche a M., il quale, mi ha fissata attonito per circa 5 minuti in una sorta di estemporanea paresi facciale.
La “ghiandola paparia” di Jack Byrnes
Questa piccola e doverosa parentesi spero vi abbia fatto immaginare l’espressione di questo pover’uomo e futuro papà, ogni volta che mi sente sproloquiare e straparlare sulla nostra prossima genitorialità. Se dovessi fare un buchino nel suo cervello e visionare le immagini che la sua mente, offuscata dalla paura, ha prodotto, sono sicura che lo vedrei indossare una improbabile tetta finta (sulla falsariga della “ghiandola paparia” di Jack Byrnes nel mitico “Ti presento i miei”) per allattare la nostra creatura urlante e affamata. Dopo questa incursione nella sua splendida testolina, a causa di un senso di colpa irrefrenabile, lo guardo amorevolmente e lo rassicuro: “Stai tranquillo! Nostro figlio non morirà di fame, lo allatterò io senza fare troppi capricci. Mi hanno detto che così sarà più semplice smaltire i chili della gravidanza”. Finalmente vedo il suo volto corrucciato distendersi, mi abbraccia, tira un sospiro di sollievo e mi dà un bacio sulla fronte: ne è certo, non sarà costretto ad allattare nostro figlio, perché sa benissimo che pur di non somigliare sempre di più a Peppa Pig con i tacchi a spillo, sarei disposta anche ad alzarmi nel cuore della notte e a nutrire senza lamentarmi il nostro delizioso “spermatozoo vincente”.
Per quel poco che ne so, penso che ogni volta che ci poniamo interrogativi del genere, siamo sulla buona strada per trovare lo spirito materno nascosto in noi.Anche quello nascosto meglio 🙂
Me lo auguro di cuore 🙂