Laura (nome di fantasia) ha 30 anni e insieme al suo compagno sogna di costruire una famiglia.
Provano e riprovano fino a quando quel desiderio finalmente diventa realtà.
Sul test compaiono due lineette: Laura aspetta un bambino.
La felicità è palpabile, incontenibile. Passa, però, qualche settimana e attraverso un esame medico, il DNA fetale, Laura scopre che il bambino che porta in grembo è affetto da Trisomia 21, quella che tutti conosciamo come Sindrome di Down.
Laura e il suo compagno riflettono sul da farsi e sebbene questa rappresenti forse la scelta più difficile della loro vita, alla fine si convincono che la soluzione migliore sia quella di interrompere la gravidanza.
Non si sentono all’altezza, in che modo potrebbero affrontare tutto questo?
I due ragazzi, però, ancora non sanno che a causa di quella difficile, terribile decisione, di lì a breve cominceranno a vivere un vero e proprio incubo fatto di porte chiuse in faccia, cattiveria e tanto odio gratuito.
Una vera e propria violenza esercitata nei confronti di due giovani in un momento così difficile proprio da coloro che avrebbero dovuto aiutarli, sostenerli e accompagnarli in questo percorso.
Le parole di Laura
Se in quei momenti, forse, non se ne era resa conto, a mente fredda, Laura ha riflettuto su quello che le era accaduto e ha deciso di parlare, di denunciare le ingiustizie ricevute.
Ha raccontato la sua storia nella quale figurano diversi personaggi, professionisti che, però, di umano hanno forse ben poco.
Appena appresa la notizia del problema del bambino che portava in grembo, al solo pensiero di porre fine a quella gravidanza, il suo ginecologo le consiglia di affidarsi a qualcun altro e sparisce.
Laura non sa che fare. Si rivolge ad una psicologa, ma anche lei non le è d’aiuto. Non le fa alcun tipo di domanda. L’unica cosa che le dice è che avrebbe dovuto aspettarselo dato che vi era nella sua famiglia già un caso di persona affetta da Sindrome di Down.
Laura ancora una volta non può credere a quelle parole.
Una cattiveria inaudita nascosta sotto i camici di quelli che dovrebbero essere i primi sostenitori di una persona in seria difficoltà.
Laura però non si ferma, continua per la sua strada.
Arriva il giorno dell’intervento. La ragazza si reca presso la struttura, viene ricoverata in reparto. Sebbene, però, sia stata già sottoposta a tutti i controlli necessari, una dottoressa la conduce in una stanza, le dice che vuole controllare lei stessa attraverso un’ecografia.
In quel momento succede qualcosa di veramente inverosimile: la dottoressa fa sentire a Laura il battito del bambino contro la sua volontà, nonostante lei le dicesse di non essere d’accordo.
Forse per farla intenerire e farle cambiare idea, chi lo sa.
Laura è completamente da sola sotto ogni punto di vista, non ha avuto nemmeno la possibilità di avere accanto sua madre o il suo compagno.
Finalmente arriva il momento: assume la pillola.
Comincia a sentire dei dolori atroci, chiede degli antidolorifici. Contrariamente da quanto si aspettava, però, le vengono negati.
Laura viene lasciata a soffrire senza che nessuno muovesse un dito per aiutarla. E anche dopo l’espulsione del feto, prima del raschiamento, i medici fanno passare altro tempo che per la ragazza sembra interminabile.
Un epilogo triste di una triste storia
Nessun aiuto, nessuna parola di conforto: questo è quello che ha dovuto vivere Laura.
Si è trovata costretta, contro il suo volere, a porre fine ad una gravidanza che avrebbe determinato una vita difficile ed infelice sia per lei che per il suo compagno, ma anche e soprattutto per quel bambino.
Laura ha denunciato tutto questo affinché nessun’altra donna, come lei, possa più trovarsi in una situazione del genere, ma soprattutto per sensibilizzare gli organi competenti a prendere provvedimenti contro coloro che hanno il dovere di curare e non di giudicare le decisioni altrui.