«Siamo quello che diventiamo quando la vita ci dà il LA e noi eravamo in silenzio. Quando ci toglie la voce, e noi cantavamo». (Maddalena Capra, 0 virgola 6)
Carissime mamme,
quando mi rivolgo a voi, io non penso a una nube informe di donne ignote: io penso a te, che aspetti un figlio e ormai sei vicina al giorno in cui lo toccherai. A te che corri dietro ai suoi capricci e poi sorridi scoprendo che tutte sclerano. A te che hai lottato con le lacrime perché il figlio se n’era andato nel gorgo di un bagno. E poi ci hai riprovato. A te che stai pensando al secondo bambino: però hai un po’ paura. E poi forse leggi di me, che ne ho tre, e ti vien voglia di allargare la famiglia. Oppure di dire «non se ne parla».
Be’, la vita non la decidiamo solo noi. L’ho capito a quarantacinque anni.
Mi siedo qui, oggi, e ho bisogno di te.
Io la vita a cavalco con le parole: l’ho fatto anche sta volta.
Mentre cose impreviste e folli accadevano, giorno per giorno le tracciavo. Non lo sapevo, cosa avrei fatto di quelle pagine. Poi è stato chiaro: ne è uscito un libro. Un racconto senza filtri né giudizi, crudo e prepotente, ma anche dolce: perché così è stato.
È una storia in cui qualcuna si riconoscerà, altre toccheranno realtà mai viste da vicino.
C’era stato quel blackout.
I figli giocavano con le torce e poi a un certo punto si erano stancati. Eravamo sul divano, la noia cominciava a coprirci come un lenzuolo fastidioso in estate. Sfioravo Mathias, ho lanciato due piccoli ormeggi romantici, c’era qualcosa di provocante in quell’assenza di luce. In questo imprevisto fermo all’ordinario.
Ci ripenserò tante volte. Penserò a quanto ci è costato quel guasto.
Litigammo. Sono mesi che litigo con tutto, con la vita col corpo con gli editori con la sorte. Ci infilammo in una sera. Fu come quelle intuizioni che arrivano geniali e scomode. La seguimmo.
Ho ricordi possenti, di quei momenti. Come radici enormi di grandi alberi a venire, ficcate profonde nella terra dei giorni.
Ogni sera fumo la mia sigaretta davanti al condominio che scolora, al suo clinker che smette di luccicare. Guardo se qualcuno aziona la luce nelle scale, guardo qualche cucina che si accende per l’ultimo sorso d’acqua prima della notte. Penso «così lo uccidi». Penso che ho dentro un figlio.
[…] (0 virgola 6)
All’urgenza di scrivere si è affiancato il desiderio di dare una testimonianza forte, in uno scambio dove io dono una storia, e ogni persona che legge è un piccolo calore.
Molte lettrici hanno avuto l’animo immenso di leggermi e poi di tornare a dirmi le loro impressioni:
È un racconto che non lascia indifferenti, che ti costringe a fare i conti con i tuoi sentimenti, con i desideri, le paure, i sogni, le speranze, i dolori: di genitore, di madre, soprattutto.
Che ti porta a farti domande, che è triste ma nello stesso tempo non lo è affatto, è anche un inno alla vita. (Una lettrice)
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