Essendo nell’ordine: misantropa, ipocondriaca e con una particolare allergia alla categoria dei medici, dover scegliere un ginecologo per la prima visita dopo il test casalingo di gravidanza, è stato un vero e proprio dramma. Nella mia vita ho avuto a che fare con i medici solo quando è stato strettamente necessario e in queste poche occasioni ho potuto appurare che sono saccenti, poco generosi e incapaci di immedesimarsi nelle paure del paziente o, nel caso in cui siano dotati di qualità empatiche, ne approfittano per esercitare il proprio potere e “torturarti” con silenzi, discorsi altisonanti ed espressioni perplesse e preoccupate.
Non avendo confidato ad anima viva la notizia della mia gravidanza non ho potuto chiedere di farmi suggerire un buon ginecologo e, d’altra parte, difficilmente mi sarei fidata del giudizio altrui. Così ho fatto l’unica cosa che potevo fare: scegliere a caso un nome e un numero di telefono su internet. Ma a volte, proprio quando crediamo di averla persa, ti assiste una buona stella.
In sala di attesa ero estremamente nervosa e col viso imbronciato (con la “funcia”, come dice il mio compagno M.), come mi capita quando già so che sto per incontrare qualcuno che dirà la parola sbagliata al momento sbagliato facendo saltare il mio delicato equilibrio mentale.
Quando la porta si apre vedo una paziente sorridente accompagnata dal ginecologo sulla soglia: immediatamente penso che siano amici o che comunque si tratti di una smorfia ipocrita e non di un sorriso sincero. So che è arrivato il mio turno e, come se stessi andando al patibolo, mantengo un’espressione corrucciata ma dignitosa. Io e M. entriamo, salutiamo e ci sediamo.
Questo medico tanto alto quanto cortese, mi ha immediatamente colpito per il suo modo “azzeccato” di approcciarsi a me: né troppo invadente, né troppo gelido, misurato nelle parole, ma con il giusto garbo. Ho preso immediatamente a riversargli addosso alcuni dubbi, non escluse le mie perplessità sulla sua categoria professionale di appartenenza. Credetemi, amiche, non mi ha buttata fuori con un sonoro calcio nei fondelli, ma ha sorriso e mi ha detto che, per certi versi, le mie parole erano condivisibili. A quel punto, oltre ad avere un grosso punto interrogativo sulla testa, ero invasa da un sentimento di sbigottimento misto a entusiasmo, il medesimo che si prova quando sali sulla bilancia e credi di aver preso almeno un paio di chili ma invece vieni piacevolmente smentita dall’elettrodomestico più temuto di casa.
Poi la visita, l’ecografia e quel minuscolo puntino che era dentro di me: un susseguirsi incredibile di emozioni a cui quel medico alto e gentile ha assistito con discrezione e con la minima invadenza.
Infine le sue ultime parole rassicuranti: “La gravidanza non è una patologia, ma una condizione fisiologica “speciale” che lei hai il diritto di godersi a pieno. Né io né lei siamo fondamentali per il buon corso della gestazione: farà tutto la natura. Io mi occuperò solo di monitorarla di tanto in tanto per tutelarla e verificare che le cose procedano nel migliore dei modi”.
Quando ero pronta ad andarmene ho sentito la necessità di ringraziarlo e di sorridere, proprio come la paziente che mi ha preceduta. E non si trattava di una smorfia ipocrita.
Inevitabili le parole di M. (sentite milioni di volte): “Cosa ti avevo detto?”