Fino a pochi anni fa, l’idea di far dormire il bambino nella stessa stanza dei genitori o addirittura nello stesso letto dopo il periodo dell’allattamento, era assolutamente demonizzata. Padri e madri modello, oltre che teorie autorevoli come quella elaborata attorno agli anni ’80 dal pediatra Richard Ferber e poi ripresa e amplificata agli inizi del secondo millennio dal famoso “medico del sonno” Eduard Estivill con il best seller “Fate la nanna”, consigliavano caldamente di non lasciarsi intenerire dai pianti del proprio bambino, ma di abituarlo a dormire nel suo lettino o nella sua cameretta già dai 6 mesi. A sostegno di tale tesi, tutt’oggi vi sono diversi argomenti più o meno validi.
Cosleeping: dormire in camera con mamma e papà fa bene?
Innanzitutto si parla di disturbo del sonno, sia per il bambino che per i genitori. Quando il piccolo dorme in camera con mamma e papà, la tentazione di prenderlo in braccio ogni volta che piange è più forte e questo può impedirgli di riaddormentarsi subito dopo. I genitori, allo stesso modo, tendono ad interrompere il proprio sonno al primo flebile lamento del piccolo, innescando così uno stato di ansia controproducente, visto che lo scopo è quello di rassicurare. La questione si fa più spinosa man mano che l’età del bambino avanza. Il metodo Estivill, in proposito, suggerisce di spostare il bambino nella sua cameretta il prima possibile e dopo i due anni di fare in modo che non la lasci, ignorando pianti, capricci, e qualsiasi altra richiesta d’aiuto. Più tempo il piccolo dormirà con i genitori, infatti, più sarà complicato trasferirlo e aiutarlo ad accettare il fatto di stare da solo di notte. In ultimo, a terrorizzare i genitori incapaci di abbandonare nell’oscurità il proprio figlio in un’altra stanza vi era, anzi esiste tuttora, l’assunto secondo cui il 50% dei bambini che abbandonano la camera dei genitori dopo i tre anni, avrà in futuro problemi relazionali, di ansia e di adattamento.
Cosleeping: dormire con mamma e papà è un aiuto all’autostima?
Recentemente, tuttavia, per buona pace di tutte le mamme e i papà che di fronte al pianto dei propri piccoli non riescono ad avere la fermezza richiesta da questa scuola di pensiero, si sono affermati altri modi di gestire il processo di messa a letto dei piccoli. Alcuni sono perfino diametralmente opposti al metodo appena descritto, tanto che il suo stesso autore è stato costretto a rivedere alcuni aspetti del proprio sistema, ritenuti troppo rigidi. Dall’Inghilterra, per esempio, arriva il “cosleeping“, vale a dire la pratica del “dormire insieme”. Secondo alcuni studi infatti, i bimbi che dormono con i genitori o con i fratelli, avranno in seguito più possibilità di diventare persone sicure, indipendenti e mature rispetto a quelli abituati, o meglio “forzati” a dormire da soli sin da subito. Secondo i sostenitori del co-sleeping, il bambino deve essere incoraggiato a restare nel nido fino a quando non sentirà autonomamente la necessità di svincolarsi da esso per acquisire il proprio spazio personale e ciò può voler dire anche superati i cinque anni di età.
Vita di coppia: anche da neo genitori, non dimenticate i vostri spazi
Come in tutte le cose, naturalmente, è probabile che anche in questo caso la virtù stia nel mezzo. Non c’è cosa più dolce e materna che rassicurare il proprio bambino specie nel cuore della notte, o dopo un brutto incubo. I genitori hanno il compito di confortare e rasserenare i propri figli, ma senza eccedere. Bisogna capire quando la paura di sentirsi soli o dell’abbandono appartenga più ai genitori che ai figli. Bisogna comprendere quando il bimbo è pronto, e non quando lo è la madre o il padre. In quel momento, che sia ad un anno o a quattro o cinque, con un po’ di incoraggiamento, tanta pazienza, e una buona dose di fermezza, si faranno tutti i passi necessari perché sia i piccoli che i grandi possano acquistare i propri spazi. E già perché non dobbiamo dimenticare il delicato equilibrio di coppia. La voglia di riappropriarsi della camera come simbolo della propria sfera intima per i coniugi non deve essere visto come un atto egoistico e di esclusione nei confronti nel bimbo, ma al contrario come la rassicurazione più grande poiché in esso vedrà un ulteriore segno di amore.