L’importante è che cresca, perché tanto è quello, che deve diventare: un uomo.
Non ha alcuna importanza che tu ti stenda sul divano, stasera. Tuo marito si occupa del bambino, gli mette il pigiama. Ci pensa lui.
Riposati. Oggi, domani.
Non importa che adesso quel piccolo soldatino che hai messo sull’attenti, perché non ce la facevi più, pianga in un angolo, stretto a un pupazzo cui manca un occhio, perché l’ha gettato dieci volte contro le sponde del letto.
Che il suo pianto, accolto due o tre volte, ormai ti abbia sfibrato. Ormai cresce, che diamine, che si salvi da sé.
L’altro giorno sei uscita e l’hai lasciato a una zia. Non gliel’hai nemmeno detto. “Tanto non capirebbe”, poi ti avrebbe piantato quel moccio, quel naso che tira su all’infinito, i suoi pianti ti avrebbero rincorsa lungo le scale. Quando sei tornata qualcuno l’aveva già messo a letto.
Non ha importanza che il bacio nel tempo si sia sciolto, è normale, lo sai, le stagioni. Adesso hai un piccolo orgoglio dentro, ché quello si lava i suoi minuscoli denti da sé e tu puoi ricominciare a pensare a te stessa. Ché china su una culla un po’ ti riusciva e un po’ ti soffocava. Quanta fatica, che diavolo!, quante volte l’hai pensato: che non vedi l’ora, che sia grande, che se ne esca da solo, dietro a un pallone. Che inizi un po’ di quell’autonomia cui lo costringi da sempre. Perché tanto è quello, che deve diventare: un uomo. Mica un animale di pezza che ti porti appresso come un souvenir.
E adesso cominci a raccogliere i primi frutti: ti ha chiamato tre volte per mostrarti il disegno. L’ha fatto da solo, sei contenta? Guarda, pure i pennarelli adesso stanno incappucciati, allineati, dormono nella loro scatola ben richiusa. Sei passata, hai buttato un occhio con la velocità con cui sbatti la tovaglia dalle briciole: “Bravo.” Compito assolto.
Fai il tuo dovere. Non è che non ci sei. Non prendetemi in giro, io ci sono eccome, mi faccio un culo così, cucino, lavoro, tengo la casa, lo vesto, lo nutro, lo porto all’asilo e al parco giochi.
Non conta quante carezze gli dai, quanti complimenti crea la tua bocca, quanti sorrisi spiccano il volo. Le cose vengono e non vengono, ci sono i giorni buoni, altri sono scialbi, stoviglie da risciacquare, il marito stanco la sera. La casa va avanti, va avanti la famiglia.
Non ha alcuna importanza se lo riempi di cure, o non ti curi di riempire i gesti d’affetto. Se assolvi a un compito coi guanti sterili. Se ognuno intanto prende le sue distanze, prende il suo posto. Se mescolare le vite non ti riesce. Se hai avuto, perché l’hai avuta, una fottutissima paura di diventare lui e che lui fosse così tanto te.
Non importa.
Tuo figlio ti amerà comunque. Sarai il suo nord e il suo sud. Il nome del sole e quello della pioggia. Sarai ogni mese del calendario. Ogni pensiero comincerà col tuo nome.
Perciò non importa, credimi.
Solo che passerà la vita a inseguire ciò che non ha avuto.
E tu a rimpiangere quello che non gli hai dato.
grazie Antonella, l’ho scritto con l’animo in mano e quel pizzico di rabbia pensando che non possiamo immolarci per i figli, ma che – tuttavia – le nostre scelte, il nostro modo di amare li forgerà per sempre. Parola di una mamma che, come figlia, ha molto lottato.