A me in certi istanti sembrava di giocare. Giocare e recitare in inglese hanno una sola, uguale parola: play.
Mio padre mi guarda, appena chino sotto il portellone del baule, la sua monovolume. Lui e io. Forse no, nemmeno. Credo che mi guardi. Più probabilmente sta solo pensando a cose sue, a quanto dobbiamo ancora aspettare perché ci aggiustino la ruota del passeggino che siam venuti fin qui, alla ditta madre, per far riparare. Io armeggio. Armeggio quel piccolo di pochi mesi, il mio primo figlio, lì nel bagagliaio.
Gli ho dato una fruttina, in auto, fermi in questo parcheggio che non sappiamo come ingannare il tempo, così, senza poter andare a spasso. E lui ha pensato bene di fare la cacca. Lo sto cambiando, lo spoglio, lo pulisco con le salviette. Guardo mio papà con la coda dell’occhio. Penso una cosa sola: “Perché non fai niente?”. Quasi fosse roba sua, quelle cosce che sgambettano, il pannolino da cambiare, il piccolo che ha divorato quella fruttina frullata. Roba sua.
Guardo le vetrine, quando cammino. Una volta osservavo dentro, le cose esposte. Adesso vedo passare una donna, i capelli corti, il fisico asciutto, che spinge un passeggino con dentro chi. Come quelle altre, le mille che mille volte ho incrociato nella mia vita, per strada, alle feste, ai ritrovi dei parenti: pappe, passeggini, piccoli in braccio, universi miracolosi. Solo che questa volta sono io.
Sembravano così “mamme”, mamme da sempre. Arriverà, mi dico. L’amore è lì, in quei pianti dolci e sottili, in quella bocca a cuore, negli occhi che iniziano a vedere. Inizio anch’io a vedere. Però poi organizziamo una merenda, presento il piccolo a tutto il parentado, e sento ogni mio gesto. Non voglio far vedere che non sono pratica, perché la verità è che non so niente. Ho fatto il corso preparto, è vero, ti insegnano tutto sul parto, che dura così poco. Nulla sul piccolo, che vivrà con te per anni. E adesso guarda, lo cambio più in fretta di prima. Ma si attacca ancora male, se piange lo maneggio come posso, mi giro il salotto, lo do a suo padre per non impacciarmi. Lo mostro come un piccolo, enorme trofeo. Siamo tutti felici.
Però non siamo mamma e figlio: sono una ragazzetta, con un piccolo che è come se le fosse piovuto dal cielo. Una vita che le è piovuta addosso. E non voglio che se ne accorgano. Se no crederanno che non lo amo.