Qualche giorno fa, come tutte noi, sono stata sconvolta dalla notizia di quella ragazza che, dopo essere riuscita a nascondere la propria gravidanza, ha gettato via il proprio figlio, appena partorito.
Parliamo sempre delle maternità e delle gravidanze, quelle belle. Quelle fatte di scelte consapevoli, di partner più o meno affidabili. Di pance che crescono sotto occhi amorevoli. Di stanze di ospedale fatte di palloncini con It’s a Boy o It’s a Girl. Di dubbi leggeri tra tutine di cotone pesante o di ciniglia, o fra trio e passeggino leggero.
Parliamo sempre delle maternità e delle gravidanze, quelle faticose. Quelle fatte di compagni un pochino assenti o che non hanno ancora capito quale ruolo spetti loro. Di suoceri invadenti o poco collaborativi, di vecchi amici che si dileguano. Di parti faticosi o di allattamenti difficili. Di dubbi tra resistere ancora un pochino, riprovare, prima di separarsi o andare subito dall’avvocato, perché, se siamo sole, meglio metterlo agli atti e proseguire come mamme single.
Ma tra il mondo fatto di mamme e figli sempre perfettamente in pantone, con effetti cromatici tali da far sembrare la famiglia un poster pubblicitario, e quello di cui sopra, cioè un mondo più concreto, con i suoi alti e bassi, tante varianti ed altrettante sfumature, ci sono storie agghiaccianti che non dobbiamo mai dimenticare.
Storie di mamme tanto, troppo giovani, non solo anagraficamente parlando. Di famiglie di origine vissute con paura o rabbia. Di compagni fantasma.
Storie di paura e di ignoranza, quella più leggera e quella più profonda. Un’ignoranza di gesti, ma soprattutto di informazioni. Che va dal non sapere come amare, biblicamente parlando, al non saper affrontare una cosa tanto grande, al non saper dialogare con la propria famiglia, sino al gesto più assurdo. Sbarazzarsi di un fagottino, portato in grembo, inspiegabilmente senza che padre, madre, fratelli e sorelle, professori e compagni, se ne accorgano. Buttarlo via, ignorando appunto, che non solo si tratta di una vita che paga un prezzo insensato, ma che con quel gesto non ci si sbarazza proprio di nulla, perché nel cuore si insinuerà un peso massimo, fino alla fine dei propri giorni.
Tante storie fatte di minorenni, si susseguono uguali, negli anni. Maternità e gravidanze, ma anche paternità, di cui dovremmo parlare più spesso, non per giudicare, ma per capire, per informare. Per tentare di cancellare quell’ignoranza che spinge ad avere una paura cieca, che ha il suo culmine nell’abbandono, quello più ignobile.
Perché non abbiamo tutti gli stessi strumenti, non ci illudiamo. Forse, parlando dei tanti modi con cui affrontare la gravidanza, le eventuali maternità e paternità, certe cose sarebbero più rare.
Fra famiglie cromaticamente perfette e la vita vera, ci sono anche quelle storie. Storie drammatiche, su cui riflettere, possibilmente, in casa, a scuola, senza giudizi, ma per informare. I maschi come le femmine. E perché no, per insegnare loro ad amare.