L’altro pomeriggio, durante una gita, ho fatto molte foto alle bambine. Nonostante abbia, come tutti, quasi sempre un cellulare in mano, tendo a non scattare foto alla velocità della luce. Non sono una di quei genitori che immortalano ogni singolo istante della vita dei figli: dal vasino alla merenda, dal risveglio all’outfit perfetto.
Non lo faccio perché, per come la vedo io, scattando sempre foto, i bambini si abituano troppo all’idea che ogni istante, per avere valore, debba passare attraverso un cheeeeeese, e soprattutto perché, sempre per come la vedo io, quando interpongo, fra me e la vita, una fotocamera, quella vita me la godo meno.
Tornando all’altro pomeriggio, tra le foto scattate ce ne erano di davvero belle ed, ovviamente, quelle le ho condivise con i nonni lontani. Tra di esse, alcune erano parecchio “instagrammabili”, cioè perfette per essere condivise, non solo con chi davvero ama le me figlie, ma anche con diversi sconosciuti. Sconosciuti fra i quali altre mamme e papà, certamente anche qualcuno che non conosco bene, ma mi segue e seguo sui social però, avendo un profilo pubblico, anche con gente che al 100% non so chi sia, non ho mai visto e mai vedrò.
Ed è lì che, per l’ennesima volta, me lo sono chiesto. È giusto mettere alla mercé di tutti le foto dei nostri figli, dai loro primi vagiti alla gita al mare, affinché la gente scriva “ma che bei bambini”, con tanti cuoricini e faccine from qualsiasi parte del mondo, da chissà chi?
E’ giusto, senza pensare al peggio, esporli pubblicamente, quando non hanno la possibilità di dire la propria o di capire il senso della condivisione social? Sempre che un senso ce lo abbia!
È giusto lanciare, nel mare magnum della rete, un’immagine privata, scattata nel luogo dove il bambino si sente più protetto, cioè accanto alla mamma e al papà, senza che questa possa essere cancellata, restituita, né oggi né mai?
Per cosa poi? Per cuoricini e complimenti e like che, lo sappiamo, hanno un beneficio illusorio solo verso il nostro ego, e dagli effetti istantanei e affatto duraturi.
E se questi bimbi, da ragazzi, da grandi non ne fossero affatto contenti, di essere ricercabili su Google da chiunque?
E se, da ragazzi, in autonomia, aprissero (cosa che ovviamente faranno tutti) un profilo funzionale, attraverso i like, a dare loro felicità, autostima, ma che al contempo potrebbe buttarli giù, togliere sicurezza, anche a causa dell’esempio che gli abbiamo dato?
Io non ho risposte. Ho solo domande.
Una cosa, però, la so. Il rischio che un momento banalmente e spontaneamente meraviglioso, possa diventare artificiale, forzato, momento di nervosismo, se non si riesce a renderlo perfetto per i social, c’è. C’è realmente la possibilità che una posa simpatica, spontanea, possa essere forzata, per diventare un siparietto da reel. Insomma, che ci vuole un attimo per perdere il peso della situazione e privare quell’istante della sua purezza.
Alla fine, quelle foto non le ho pubblicate e, a dire il vero, pur senza like (che come blogger si traduce anche in qualche proposta di lavoro in meno) oggi sono felice lo stesso.