Procreazione assistita: dal congelamento degli embrioni al loro utilizzo potrebbero passare diversi anni: cosa succede se la coppia nel frattempo si è separata o ha divorziato?
Procreazione assistita: impianto dopo il divorzio
La conservazione di ovuli fecondati per la procreazione assistita può durare anche parecchi anni. Cosa succede se nel frattempo la coppia entra in crisi, si separa o divorzia? Il ricorso alla procreazione assistita e il numero di divorzi sono in costante aumento, per cui si tratta di un problema a cui dare una risposta univoca. Il Tribunale di Santa Maria Capua a Vetere ha emesso una sentenza storica, che consente alla donna di decidere univocamente sugli embrioni creati e congelati prima della separazione della coppia.
Diritti della donna e procreazione assistita
Secondo la legge italiana è alla donna che spetta di decidere della vita dell’embrione, per cui le spetta ad esempio la decisione univoca sull’aborto, che non può essere nè imposto nè vietato dal coniuge. Allo stesso modo, una donna può decidere di farsi impiantare gli ovuli fecondati e criogenicamente conservati, anche se l’ex marito è contrario. Si tratta di una sentenza molto importante su una casistica che potrebbe diventare, in futuro, sempre più frequente: 4 coppie su 10 divorziano nei primi 5 anni di matrimonio e il 20% delle coppie ha problemi di infertilità, con percentuali in crescita per quanto riguarda il ricorso alla procreazione assistita.
Fecondazione assistita: il ruolo del padre dopo il divorzio
Se la coppia ha divorziato ma la donna ha deciso di farsi impiantare l’embrione creato durante il matrimonio, l’uomo non ha la facoltà di opporsi. Anzi, sarà tenuto a riconoscere il figlio e quindi a contribuire al suo mantenimento. Una volta avvenuta la fecondazione dell’ovulo il padre deve attenersi, in caso di disaccordo, alle decisioni prese dalla donna. La sentenza permette quindi ad una donna divorziata di farsi impiantare un ovulo fecondato dall’ex marito anche se quest’ultimo non è d’accordo e l’uomo sarà costretto a riconoscere il figlio come se fosse nato all’interno del matrimonio stesso, indipendentemente dal tempo trascorso dal divorzio.