L’Italia è un paese con un ottimo servizio di assistenza medica e un buon standard qualitativo di vita in termini di condizioni igienico-sanitarie, tuttavia, ciò non basta ad escludere eventi come la perdita del feto intrauterina a gravidanza avanzata.
All’incirca in media una su 300 gestanti soggiace alla perdita del nascituro a causa della morte del feto all’interno dell’utero.
Le cause possono essere fetali, materne e placentari, in ogni caso va sempre tenuto in considerazione il comportamento tenuto durante la gestazione della madre.
Cosa si intende per morte del feto intrauterina
La morte intrauterina va distinta dall’aborto spontaneo, in quanto avviene in una fase in cui il feto è già sviluppato ovvero oltre il primo trimestre.
Allo stato attuale non vi è una determinazione specifica ed universale del concetto di morte intrauterina soprattutto in termini temporali, se l’Organizzazione Mondiale della Salute circoscrive il periodo alle 22 settimane, in Italia si parla di morte intrauterina a circa 25 settimane e 5 giorni.
Staticamente è emerso che nel nostro Paese il fenomeno interessi in media 3-5 famiglie su un valore totale di 1000 con picchi maggiore nella parte del Sud dell’Italia.
Altresì da un punto di vista mondiale, un autorevole studio condotto dalla Rivista Lancet risalente al 2015, ha rilevato che ogni anno: sono all’incirca più di 2 milioni le morti intrauterine con numeri maggiori nelle aree più povere.
Morte in utero: cosa fare per prevenire il fenomeno
Per contrastare il fenomeno della morte intrauterina è importante sottoporsi ad accurate visite mediche e ai test di routine al fine di prevenire qualsiasi malattia, infezioni o virus che possa risultare letale per il feto.
Vanno, altresì, presi una serie di accorgimenti da parte della madre in relazione al proprio stile di vita, ad esempio evitare di consumare alcool, non fumare e mantenere il peso sotto controllo, nel caso di obesità, nonché riposare sul fianco in modo da non schiacciare il feto, come potrebbe accadere dormendo a pancia in sù.