Sono ormai anni che si sente parlare di mamme pancine. Una definizione, se non erro, creata da un uomo, per dare in pasto alle altre donne (non perché i maschi siano migliori, ma perché a loro di certi argomenti non gli interessa proprio), quelle madri che avevano ed hanno dei comportamenti … diciamo poco comuni, estremamente originali.
Comportamenti che possono non piacere, ci mancherebbe ma che, forse, non c’era bisogno di stigmatizzare, creando addirittura una definizione, un cluster. Una categoria a sé che, inevitabilmente, va a discapito di tutte. Anche di chi se la ride.
Le mamme pancine mi sono venute in mente, pensando al senso di inadeguatezza tutto nostro, il nostro fardello originale. Quel senso che ha radici profonde, come del resto il senso di colpa, che è con noi ad ogni piè sospinto. Quel sentirsi mai abbastanza, da ragazza prima e da mamma poi. Quella miscellanea di emozioni e sentimenti che ci fanno vivere come delle falene attorno ad una lampadina. Quello sbattersi e battersi per qualsiasi battaglia possa far star meglio i nostri figli e li faccia sentire più amati, più protetti.
Dalla torta preparata la notte, per fargli trovare il dolce preferito, a colazione. Dal lasciare il lavoro, per seguirli di più. Dal trasformarci in autisti, per star dietro a qualsiasi disciplina esista.
Ma anche dal comprare tutto bio, senza passare per i fornelli. Al tenerselo stretto il lavoro, per dimostrare che una donna indipendente è una donna da stimare, per dare il buon esempio, e per provare che una donna soddisfatta è una mamma migliore.
Tutte le nostre scelte, da quando ci svegliamo a quando sveniamo la notte, sono fatte per loro. Perché i figli danno le direttive alla nostra vita, da quando abbiamo scoperto la loro esistenza, qualsiasi narrazione abbiamo scelto per noi.
Ecco perché io credo che, in fondo, deridere mamme che allattano sino a quando i figli vanno all’università o che fanno torte al gusto cioccolato bianco e placenta, sia un modo per screditare le donne in genere, le mamme in genere, perché ognuna ha il diritto di fare e di dire, e di scrivere quello che caxxo vuole, purché non sia offensivo verso gli altri.
Perché anche i comportamenti più particolari hanno la stessa radice di quelli comuni: cercare di offrire il proprio meglio, quello che crediamo giusto, con la paura di non fare e di non essere abbastanza.
Lo so, voi direte: ma che nesso c’è tra il preparare i biscotti alle tre di notte, a forma di dinosauro, con il creare un gioiello con il proprio cordone ombelicale? Ma il punto è un altro: ciascuna di noi, potenzialmente, potrebbe essere criticabile semplicemente perché il proprio agire appare discutibile a qualcun altro.
Per non parlare del semplice fatto che, creato un modo per prendere in giro delle mamme, con una definitone mortificatoria tutta femminile ( ovviamente, noi abbiamo sempre l’onore di farci offendere e di fortificare, con la nostra complicità, l’offesa, pensando di non poterne essere bersaglio) autorizza a prendere per i fondelli qualsiasi mamma. Anche quella “normale”, quale noi pensiamo automaticamente di appartenere.
Le mamme pancine. Quel fenomeno che, da anni, irride tutte le mamme, non ha a che fare con un piatto di fiori di zucca su un letto di placenta, ma sul femminile e sulla maternità. Su quel noi, i cui comportamenti, sempre sotto la lente di ingrandimento, su spinta maschile e con complicità femminile, vengono ridicolizzati per far sentire migliore qualcun altro.
Per cui attenzione a ridicolizzare l’agire di un’altra, perché la prossima potremmo essere noi. Quel pancine potrebbe essere pronto a fagocitare altri comportamenti, potrebbe essere così elastico da contenere anche ciò che crediamo essere giusto, normale.