I test prenatali consigliati alla futura mamma dipendono da molti fattori, tra cui l’età della gestante, le sue condizioni di salute, la presenza di patologie croniche (soprattutto diabete ed ipertensione) e fattori genetici predisponenti all’insorgenza di malattie congenite.
I due test diagnostici che sono ormai entrati nel protocollo routinario della gravidanza sono l’amniocentesi e l’analisi del DNA fetale.
Che cos’è l’amniocentesi
L’amniocentesi è un esame diagnostico invasivo che consiste nel prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina, per ottenere un campione biologico da analizzare per scoprire se sono presenti anomalie patologiche del feto.
Tale indagine può venire effettuata in vari periodi:
– amniocentesi precocissima, da eseguirsi prima della 15 settimana e soltanto in casi eccezionali;
– amniocentesi precoce, da eseguirsi tra la 16 e la 18 settimana;
– amniocentesi tardiva, da eseguirsi dopo la 25 settimana.
Che cosa serve l’amniocentesi
L’amniocentesi viene utilizzata per numerosi scopi clinici, un particolare per effettuare diagnosi precoci di varie patologie.
– Valutazione ed analisi del cariotipo, o mappa cromosomica, al fine di evidenziare l’eventuale presenza di malattie genetiche.
– Sospetto di malattie ereditarie dipendenti dal cromosoma X.
– Dosaggio di alfafetoproteina o di aceticolinesterasi per la diagnosi di spina bifida, acefalia, encefalocele ed altre patologie a carico del tubo neurale.
Tale indagine viene prescritta in casi di effettiva necessità in quanto si tratta di un esame invasivo che può causare aborto spontaneo.
Che cos’è l’analisi del DNA fetale
L’analisi del DNA (acido desossiribonucleico) fetale è un test di screening prenatale non diagnostico che fornisce una stima probabilistica della eventuale presenza di patologie cromosomiche.
Viene effettuato mediante analisi del sangue materno per diagnosticare precocemente il rischio, ma non la certezza, di malattie congenite tra cui la Sindrome di Down o Trisomia del cromosoma 21.
Si può effettuare dalla 10 settimana di gestazione e, non essendo una metodica invasiva, non comporta alcun rischio per la madre né per il feto.
In caso di esito positivo deve comunque venire confermata dall’amniocentesi e dall’analisi dei villi coriali.
Che cosa serve l’analisi del DNA fetale
Già dalla ottava settimana, questo test permette di diagnosticare fenomeni di incompatibilità materno-fetale legati al fattore Rh fetale presente nel sangue; inoltre consente di conoscere il sesso del nascituro che è un indice molto utile in caso di patologie legate ai cromosomi sessuali X e Y.
Non può venire considerato sostitutivo di altre indagini, come amniocentesi e villocentesi, ma ad esse complementare.
Questa analisi viene considerata d’elezione per la diagnosi della Sindrome di Down, nei confronti della quale mostra un’attendibilità superiore al 99%.
Di solito viene prescritta in caso di gravidanza a rischio quando non è consigliabile effettuare indagini invasive; oppure quando la gestante è in età avanzata; se sussiste una anamnesi famigliare per anomalie cromosomiche o in presenza di aborti ripetuti o di fecondazione assistita.