Da sempre, l’usanza di condividere il letto matrimoniale con il neonato o con l’ultima creatura arrivata in casa è radicata nel cuore e nelle tradizioni di moltissime famiglie.
Tale pratica, definita con la denominazione di bed sharing, possiede un’accezione quasi prettamente simbolica che concreta, dal momento che permette ai genitori di guadagnare un po’ di sonno a causa dei ripetuti risvegli del bambino durante la notte e di prestargli attenzione nel caso in cui dovesse aver bisogno del loro intervento.
Tuttavia, alcuni recenti studi hanno valutato se il bed sharing sia realmente efficace nell’agevolare il sonno del neonato e se sia sicuro: esaminiamo insieme i risultati di tali studi.
Bed sharing: definizione e differenze col co-sleeping
Come già menzionato precedentemente, il bed sharing non è altro che la pratica di far dormire il proprio bambino o bambina nel proprio letto matrimoniale, specialmente in presenza di un neonato o di un pargolo nei primi 2 anni di vita.
Il co-sleeping non è altro che la condivisione di un’unica stanza da letto con il neonato, finalizzata alla creazione una condizione di vicinanza ma non di stretta unione con lui.
Secondo alcune stime, pare che il 25% delle famiglie con uno o più bambini da 0 a 2 anni facciano largo uso del bed sharing, con un picco di effettuazione di tale pratica con i bambini fino alle 26 settimane di vita.
Che dire dei vantaggi e degli svantaggi che il bed sharing apporta con sè?
Bed sharing: pro e contro
Alcuni studi scientifici hanno portato alla luce delle evidenze assolutamente degne di un’opportuna analisi critica.
Ad esempio, il bed sharing pare sia strettamente correlato con il tempo di allattamento al seno o misto: in alcuni casi, le mamme che facevano uso di tale pratica vedevano allungarsi la durata dell’allattamento rispetto a coloro che non praticano bed sharing.
Non solo, in assenza di fattori di rischio, il bed sharing pare comportare una riduzione delle possibilità di insorgenza della SIDS, ossia la sindrome di morte improvvisa in culla: questo è strettamente legato all’allattamento al seno.
Tuttavia, il bed sharing apporta anche dei fattori di rischio molto importanti, come:
- il peso ridotto del neonato;
- l’obesità della mamma;
- il fumo durante la gestazione;
- l’abuso di alcolici, di droghe e farmaci;
- l’addormentamento del bambino su poltrone o divani
Se tutte queste situazioni sono presenti, il bed sharing è altamente sconsigliato.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: il bed sharing è una pratica sicura e affidabile?
Il bed sharing è una pratica sicura?
Alcuni pediatri hanno fornito una risposta esaustiva a tale importante domanda, assicurando che il bed sharing consente ai genitori di dormire sicuramente meglio.
Aspetti positivi:
- I risvegli dei neonati in tali condizioni risultano essere più brevi rispetto al normale
- la mamma può allattare molto facilmente e non deve necessariamente alzarsi ad intervalli di tempo molto vicini tra loro.
- il bed sharing consente un miglioramento del legame affettivo, dell’osservazione e dell’interazione tra genitori e bambino,
Aspetti negativi:
- il bed sharing non conduce all’autonomia graduale del bambino, anzi, è una via verso un rallentato distaccamento dall’ombra genitoriale dei primi anni di vita.
- non permette ai bambini di stabilire delle regole sulla conquista dell’indipendenza, passo chiave nella crescita di ogni nuova vita.
Ad ogni modo, il fatto che un neonato dorma a lungo coi genitori di certo non significa che cresca insicuro e non indipendente, dato che non esistono delle evidenze scientifiche che certifichino questo.
Inoltre, il bed sharing è una pratica consigliata anche perché consente di monitorare la qualità del sonno del bambino e di notificare al pediatra eventuali disturbi e anomalie sul comportamento notturno del piccolo.
Insomma, il bed sharing è sicuramente una pratica molto frequente nei genitori: adottarla con parsimonia, buon senso e consapevolezza permette di instaurare un rapporto di fiducia e di affetto col proprio figlio, per una crescita ottimale!