A Verona, sette persone sono state indagate per lesioni gravi ed omicidio colposo, in relazione al contagio, avvenuto presso l’Ospedale della mamma e del bambino, che ha interessato 89 neonati, e che ha causato alcune morti.
Il focolaio sarebbe stato causato da un batterio killer, la cui diffusione è avvenuta da un rubinetto da cui veniva presa l’acqua usata per il latte in polvere.
L’inchiesta sull’infezione a Verona
Nell’inchiesta relativa all’infezione da Citrobacter, sette persone risultano ora indagate dalla Procura di Verona. Si tratta di medici appartenenti alla struttura ospedaliera ed ex vertici della stessa, ai quali sono stati contestati sia il reato di omicidio colposo che quello di lesioni gravi.
A far scoppiare il focolaio, in seguito al quel sono stati infettati 89 bambini è stata l’acqua proveniente da un rubinetto, usata per preparare il latte in polvere.
Le indagini della Procura di Verona sono state lunghe e condotte con molta accuratezza ed al termine delle stesse sono arrivate le iscrizioni nel registro degli indagati per le stesse persone che avevano già a loro carico dei provvedimenti amministrativi che erano stati disposti dall’Ulss veronese.
I nomi degli accusati
Le sette persone che risultano oggetto del provvedimento della Procura sono l’ex direttore della Fondazione Scuola Sanità Pubblica, Francesco Cobello, l’ex direttrice sanitaria Chiara Bovo, che attualmente dirige la funzione ospedaliera in provincia di Padova, a Schiavonia, e Giovanna Ghirlanda, direttore medico della struttura.
Oltre a loro sono indagati Paolo Biban, primario del reparto Pediatria, Evelina Tacconelli, direttrice del reparto Malattie infettive, l’ex primaria Giuliana Lo Cascio, attualmente in forza all’ospedale di Piacenza, e il risk manager Stefano Tardivo.
Tra questi, la sospensione a carico di Biban, Lo Cascio, Ghirlanda e Bovo, risale al 5 settembre 2020, quando furono raggiunti da un provvedimento emesso dell’ex direttore generale Cobello.
I 4 sono poi stati riammessi al lavoro.
Secondo le indagini che sono state svolte dagli ispettori inviati dalla regione Veneto, il focolaio batterico era attivo già nel 2018.