La vita ha sempre e comunque una dignità, anche se il suo inizio a volte si confonde con la fine: questa è la filosofia della dottoressa Elvira Parravicini, neonatologa alla Columbia University di New York e sostenitrice della comfort care, la terapia che non (sempre) guarisce ma che assiste neonati allo stadio terminale e i loro genitori.
Comfort care: un aiuto nella sofferenza di neonati e famiglie
Quando si parla di patologie neonatali, ogni madre si sente “mamma” di tutte quelle povere creature che hanno di fronte a loro poco tempo da vivere. E’ un argomento che stringe il cuore e che allo stesso tempo lo riempie di rabbia e d’impotenza, ma è proprio per dare un minimo conforto a questa sofferenza che interviene la comfort care. Un trattamento palliativo che probabilmente può rendersi più efficace di quanto si creda e che sta iniziando a prendere piede anche in alcuni ospedali italiani, come il Sant’Orsola di Bologna e il Villa Betania di Napoli.
L’utilità del conforto per i neonati malati terminali
Il trattamento diffuso dalla dottoressa Parravicini, dapprima ostacolato dai suoi colleghi perché ritenuto d’ostacolo alla terapia intensiva, ha incontrato il consenso di moltissime famiglie, troppo spesso abbandonate alla disperazione. Grazie alla comfort care, i neonati gravi sono costantemente circondati dalle attenzioni dei loro genitori e parenti, dal momento della nascita fino al termine delle loro piccole vite. Non si tratta di accanimento terapeutico perché, come dice la stessa neonatologa, generalmente i piccini coinvolti hanno una prognosi molto infausta e il compito dei medici è solo quello di consentirgli di morire nell’affetto dei loro cari.
Anche se non sempre è così: in diversi casi, infatti, alcuni di questi neonati sono oggi dei bambini sereni, che vanno a scuola e giocano con i loro compagni. L’obiettivo della comfort care, quindi, non è di guarire i piccoli pazienti ma di permettere alle famiglie di accettare serenamente anche i risvolti peggiori delle malattie che hanno colpito i loro piccoli.
In Italia è’ utopia