Quando ne fai un altro? Ora ci vuole la femmina, ora ci vuole il maschietto. Non puoi farlo rimanere figlio unico, pensa al futuro, sarà solo. Tutti hanno diritto ad un fratellino o ad una sorellina. Quando ne avevo due era una passeggiata, ora sì che è complicato.
Quante volte ci siamo sentite rivolgere frasi simili. Quante volte abbiamo soffocato in gola la rabbia od il dolore di frasi infelici, gettate in aria senza pensiero.
Quante volte hanno sminuito le nostre fatiche, le nostre difficoltà, perché non abbiamo “almeno due figli“, se non tre (il numero perfetto, no?!). E quante volte ci siamo sentite addolorate da queste battute, perché magari li avremmo voluti altri figli, magari un secondo od un terzo ma non è stato possibile. Un altro figlio non lo ha voluto il nostro compagno o, come capita più spesso, il destino si è messo di mezzo.
Negli anni, di frasi infelici, battute indelicate ne abbiamo collezionate parecchie. Da “quando fai un figlio” a “quando ne fai un altro”, sino a quelle frasi che sembravano dei modi per comparare le rispettive difficoltà, e che avevano l’intenzione di minimizzare i nostri problemi.
Lo sappiamo, a volte, chi ha dato fiato a quelle parole non ne aveva davvero idea del dolore o della frustrazione ma anche della forza che abbiamo dovuto tirar fuori in certi momenti, e se solo avesse saputo avrebbe taciuto, si sarebbe scusato.
Altre, sappiamo anche quello, i nostri interlocutori sono ciechi e sordi a ciò che li circonda, sono egocentrici anche nelle loro esternazioni e non hanno alcuna voglia di calarsi in una realtà che non li riguarda. L’indifferenza verso gli altri, anche verso un eventuale dolore, non è cosa che li tocca.
C’è il dolore di chi ha subito un aborto o più di uno. C’è la speranza, riposta tante e tante volte, ma mai premiata, di chi si è rivolto alla scienza, spezzando l’dea che tutto sarebbe andato liscio. Chi i figli li cresce da solo al 100%, e si deve subire le filippiche di genitori di famiglie numerose a delega perenne.
Chi ha fatto scelte libere potrebbe rispondere con fermezza, senza fare sconti, che avere un figlio unico, o “meno figli”, non ci rende meno mamme o meno papà. Che non vuol dire che il figlio o la figlia senza fratellini o sorelline saranno infelici e soli. E soprattutto che non è una gara a chi si stanca di più, a chi ha più pensieri o fatiche, che questi sono paragoni inutili, sciatti, senza scopo. E se proprio proprio credi di essere migliore, tienitelo per te, perché agli altri non interessa.
Poi c’è chi non ha scelto, ha il cuore in pezzi, la pancia che brucia, la testa che gira, e rispondere costerebbe energie che non si possono disperdere inutilmente. Che è già una fatica stare in piedi, dire a se stessi che va tutto bene, che poi passerà, che non ci si penserà più. Allora meglio non rispondere, camminare avanti, sperando che quelle parole in aria non facciano più rumore.
E, se ci riusciamo, allontaniamoci da chi, forse senza dolo ma troppo indelicato, entra nella nostra vita, senza chiedere permesso, e ci fa i conti in tasca.