L’argomento aborto è un ormai un tema di discussione che sta ampliando il suo raggio d’azione all’interno della Comunità Europea e non.
D’altronde, quando si discute della morte programmata di un feto, sorgono sempre pensieri contrastanti, discussioni che spesso e volentieri si scontrano idealmente e politicamente.
Questo quadro di attualità è esattamente quello che sta avendo luogo in queste ore: la diatriba, infatti, si sta focalizzando sul crudele atto di costringere una donna che ha deciso di abortire a sentire, prima di procedere, il battito cardiaco del feto.
In che modo è vista tale iniziativa?
Cosa sta succedendo in Ungheria e in che modo la situazione ungherese è molto simile a quella italiana?
Analizziamo le risposte a ciascun quesito in questo brevissimo articolo, fornendo una breve ma esaustiva panoramica in merito a tutto ciò.
La situazione in Ungheria
Innanzitutto, è bene specificare i casi previsti dalla legge ungherese per poter procedere all’aborto: affinché una donna incinta possa prendere questa decisione, è necessario che la sua gravidanza sia derivante da un abuso o da una violenza sessuale, che ci sia un reale ed effettivo pericolo per la salute della donna, che l’embrione abbia un handicap fisico o mentale grave o che la situazione sociale della donna incinta non possa sostenere la nascita di un bambino.
Dal 1953, anno in cui l’aborto è stato legalizzato sino alla dodicesima settimana di gravidanza, non ci sono state variazioni o integrazioni di tale legge sino ad ora, quando tale regola è stata corroborata dal decreto del 15 settembre secondo il quale il personale sanitario della struttura che si occupa dell’interruzione di gravidanza deve far ascoltare il battito cardiaco del feto o qualunque altro segno vitale che attesti al di là di ogni dubbio la vita del feto, alle pazienti che hanno preso la decisione di abortire.
Non solo, tale processo dovrà essere attestato dall’equipe medica tramite la sottoscrizione di un documento che confermi l’avvenuto ascolto del battito cardiaco fetale da parte della madre, attestazione senza la quale essa non potrà procedere.
A detta degli esponenti governativi che hanno emanato tale legge, far sentire il battito fetale alla paziente in procinto di abortire può fornirle una consapevolezza maggiore della sua gravidanza e sull’importanza della vita.
Che dire degli impatti emotivi che questo può avere sulle mamme?
Una decisione che non tiene conto dell’emotività
La modifica legislativa succitata, tuttavia, ha riscosso numerosi dissensi specialmente quando si riflette su quella che potrebbe essere la sfera psico-emotiva della donna che si è sottoposta all’interruzione di gravidanza.
Senza ombra di dubbio, questa novità potrebbe rendere difficilissimo nonché traumatico l’accesso all’aborto e la condizione psicologica, spesso e volentieri già compromessa, di una donna che ha già subito una violenza o è ancora in pericolo di vita, la quale viene costretta a sdraiarsi su un lettino per ascoltare il battito fetale prima di abortire, esattamente come se fosse un sadico e crudele giochetto psicologico.
Tuttavia, quello che sta preoccupando i cittadini italiani in queste ore è proprio la direzione che sta prendendo il tema dell’aborto qui in Italia: in che senso?
La situazione italiana
Alcuni esponenti politici stanno validando una nuova stretta sull’aborto, ispirandosi alla decisione del primo ministro ungherese succitata.
Nonostante alcuni di essi si siano apertamente schierati col governo ungherese, attestando che tale decisione potrebbe essere un modello a cui ispirarsi, pare che, contemporaneamente, non si abbia alcuna intenzione di modificare la legge 194 sull’aborto.
Infatti, la volontà di fornire alle donne il diritto di non abortire senza abolire o modificare la legge, applicando anche tutta la sezione che riguarda la prevenzione e aggiungendo anche alcuni diritti senza toglierne nessuno, va in netta controtendenza rispetto all’idealizzazione e alla strumentalizzazione del modello ungherese.
Alcuni segnali di approvazione di tale decisione governativa si stanno ravvisando in Umbria, dove alcune pazienti sono state costrette a tornare indietro dalla sala dove sarebbe avvenuta l’interruzione di gravidanza perché non possessori della certificazione di avvenuto ascolto del battito cardiaco fetale.
Non ci resta che aspettare e osservare come tale situazione si evolverà.