Quando avevo il pancione, sia la prima che la seconda volta, mi sono spesso ritrovata in fila.
In fila alla cassa del supermercato, in quella della posta ed in quelle, altrettanto cospicue, dei negozi pré-maman.
Spesso, sin da quando il pancione poteva essere scambiato per un po’ di grassetto in più, mi accoglievano sorrisi, domande, curiosità sul sesso che portavo in grembo, sul fatto se avessi già altri figli. Mi hanno accolto braccia di signore anziane, altre mamme, principalmente comunque donne, che amavano ricordare a me e a loro stesse, la nostalgia della propria gravidanza, come crescono in fretta i bambini, oppure la voglia di provare a vivere nuovamente o per la prima volta, quella mia stessa esperienza.
Alcune si proponevano di farmi passare avanti, volevano dare la precedenza ad una donna con il pancione o anche con il pancino appena pronunciato. Alle volte ho accettato, altre no, perché davvero non ce ne era bisogno, né per fretta, né per necessità fisica, soprattutto se in fila c’era qualcuno che aveva urgenza. E, se ci guardiamo bene intorno, non mancano mai le persone in difficoltà: dall’anziano, a chi ha più figli piccoli che scappano ovunque, a chi ha una gravidanza più faticosa.
Altrettante volte, invece, io ed il mio pancione siamo stati ignorati. Ricordo chiaramente le due e ore mezza nella sala di attesa del mio medico di base, all’ottavo mese di gravidanza. Due ore e mezza vere, non per dire.
Alle otto di sera arriva il mio turno. L’ultima, in una bolgia infernale di tutti coloro che, per l’inverno ed il relativo freddo incipiente, erano andati a farsi “vedere”. C’erano anziani, ragazzi, coppie giovani, chiunque e nessuno ha fatto un gesto. Io non l’ ho chiesto.
Dopo una settimana avevo la febbre anch’io, e chissà se siano stati complici tutti quei raffreddori e quegli starnuti nella micro sala.
Precedenza o meno, non mi sono mai arrabbiata né offesa di non essere stata fatta passare avanti, quando avevo il pancione. Onestamente, la maggior parte delle volte, stavo bene.
Non l’ho mai creduto, non so se sbagliando o meno, un diritto assoluto ed inderogabile, indipendentemente dal fatto che, a quei tempi, non so ora, c’erano delle regole di precedenza negli uffici pubblici, in caso di pancione o di passeggino. Un segno di civiltà che però non ha il potere di educare. Per quello ci vuole altro.
Empatia. Comprensione. Tolleranza. Buon senso e altro ancora.
Ricordo, invece, e con non poca stizza, quella volta che non ho fatto passare una donna incinta, che era esattamente dietro di me.
Eravamo in un negozio dedicato alla prima infanzia. Lei comprava i primi body, io più o meno lo stesso. A questi tempi, mia figlia “grande” aveva poco più di due anni, la piccola pochissimi mesi. Facevo la fila da sola, a pochi passi da me, la grande si aggirava tra gli stand, la piccola, nel passeggino era accanto al papà. Con un occhio alla cassa e l’altro verso la mia “grande”, per verificare che non si allontanasse. Arrivato il mio turno, finalmente, sento la donna incinta che parla male di me ad un ‘amica “ Certo che non tutto abbiamo la stessa sensibilità” e l’altra “Cosa ci vuoi fare, non siamo tutte uguali”.
All’inizio, non avevo neanche capito che la donna dietro di me avesse il pancione, essendo il mio sguardo e la mia attenzione focalizzati verso la mia “duenne” , così mi è sembrato altrettanto strano parlassero male di me, ad un metro di distanza.
Ecco lì, vedendo una donna apparentemente in buono stato di salute, con il pancione, nella situazione nella quale ero trovata io decine e decine di volte, ho pensato che per alcune è un diritto a prescindere, anche se qualcun altro si trovi in difficoltà, come ero io lì in quel momento. Un diritto che non tiene conto degli altri e che non ha neanche il coraggio di essere espresso con educazione “Mi scusi, potrei passare avanti, per favore?” perché mai bisogna di dimenticare che un pancione non focalizza l’attenzione i tutti né cancella le problematiche di altri.
Ed è allora che ho pensato quanto sia possibile che, di fronte ad una pretesa assoluta, ci sia la negazione incivile a volte, od ottusa e distratta altre, di chi non vuole concedere un passo.
Ricordo, infine, quelle volte che, al laboratorio di analisi, avevo il diritto assoluto e formalizzato in più di un cartellone, di passare prima, ma che vedendo anziani in vera difficoltà, mai ho fatto, anche di fronte a chi non era stato garbato o sensibile.
La tolleranza e l’empatia che pretendiamo, dobbiamo anche saperla offrire. Altrimenti, ci sarà sempre più gente che davvero ci vede, ma che fa finta di non farlo.