In questi giorni, sui giornali, si parla di una certa Paola Turani che, sui social, ha condiviso le proprie riflessioni sulla sua maternità. Le parole di questa modella/ influencer- è sempre meno chiaro il confine tra due mestieri che spesso si fondono a furor di followers- non sono state gradite ad una fetta delle sue/i seguaci.
La sintesi della storia raccontata dai giornali è ” Lamentarsi della maternità è un tabù”. La domanda nasce spontanea: ma è davvero un tabù parlare di alcuni momenti duri delle nostre maternità? Io credo che il problema sia un altro.
Paola Turani è una neo mamma che, come tutte, sarà stanca morta, ed ha il diritto di dirlo a chi le pare. Come molte di noi, si sarà trovata davanti ad una realtà diversa dal proprio immaginario per cui, al di là della stanchezza fisica, c’è anche una questione psicologia a pesare in questi primi mesi di maternità.
Non la conosco ma immagino non abbia problemi a delegare un pochino anche ad una babysitter ad ore, o ad una colf a tempo pieno, faccende e attività che alcune mamme invece non riescono affatto ad affidare a terzi.
Lei, qualora lo facesse, farebbe benissimo eh!
Ha il diritto, una persona che è in una situazione privilegiata, a sfogarsi e a condividere le proprie fragilità? Certo! La questione è con chi.
Se io avessi una colf ed una tata a tempo pieno, ma comunque mi sentissi stanca, o afflitta dai nostri comuni sensi di colpa, avrei il diritto sacrosanto di confidarmi con un’ amica, ma dovrei avere il buongusto di tacere di fronte alla vicina di casa disoccupata che, tra una poppata ed un’altra, manda curricula e non sa come fare a rientrare nelle graduatorie per il nido.
Ecco il primo punto: non credo che raccontare la maternità “tosta” sia un tabù ma, salvo non si sia afflitti da manie di protagonismo, si dovrebbe scegliere bene la situazione e l’interlocutore.
Nel caso di persone dello spettacolo, la questione è un pochino diversa. Chi vanta un pubblico più o meno cospicuo ha la possibilità di lanciare messaggi positivi, come anche di alleviare solitudini e zone bue. Nel caso di Paola Turani ed in altri simili, il potere è quello di far sentire meno sole o sbagliate altre mamme che non hanno il coraggio di provare e di esprime, ad alta voce, stanchezza, disagio, anche depressione. Una mamma che legge nel proprio idolo rughe di debolezza, potrebbe avere la forza di capire che non c’è nulla di sbagliato, e potrebbe avere la forza di chiedere aiuto.
Questa di per sé è una buona cosa. Il problema è la coerenza con tutto quello che si è mostrato prima.
Scrivo di maternità da sette anni ed in questi sette anni, assieme ad altre mamme “social”, ho raccontato la mia gravidanza, i mei due parti, ed anche un aborto spontaneo. Ho raccontato tutto questo con la reale voglia di parlare, di condividere, con chi dall’altra parte poteva dirmi la sua, con educazione, trasparenza ed onestà. Alla base c’era la possibilità di un dialogo vero, diretto, senza filtri di uffici stampa. Si sono confidate mamme che avevano subito mobbing, donne che non riuscivano ad avere figli, chi era diventata mamma “tardi” come me. Ci si rispecchiava, si rideva, si piangeva e lo si fa ancora.
La maggior parte delle donne che, in questi anni, mi ha scritto, ha comunicato con me in modo educato, anche quando non era d’accordo. Anche io non sono stata risparmiata da critiche, assolutamente gratuite in alcuni casi, ma è parte della condivisone. Mi sorprende che i giornali se ne rendano conto solo oggi, ne facciano titoli, legati ad un nome di un personaggio pubblico. Infatti, lo confesso, credo più ad una manovra pubblicitaria o alla mancanza di notizie da scrivere, ma andiamo avanti.
La maternità non è un tabù se se ne parla in modo onesto, senza secondi fini, e senza aver fatto propaganda, sino al giorno prima, della propria vita “perfetta”, come un modello aspirazionale. Se tra un bacio rubato ed una cena super elegante ci infili che la maternità è tosta- parlo in generale, perchè il caso Turani esiste da anni- la gente si sente tradita ed ha tutto il diritto di dirtelo. Ci si sente traditi da una narrazione dicotomica e ci sta!
Bisogna scegliere chi si vuole essere: lo yacht come unico stile di vita che merita di essere mostrato – l’esistere in quanto avere -, o la persona con le proprie forze e le proprie debolezze- in quanto essere.
Il problema delle polemiche Turani- maternità tabù non esiste, se lo leggiamo in questo modo.
Un problema grande c’è, però, e siamo noi.
Noi che alimentiamo e creiamo e sosteniamo modelli frivoli, di puro avere. Non persone eh, quelle ci sono, ma si nascondono dietro gli scatti a cui mettiamo like.
All’inizio, scrivevo che non so bene chi sia Paola Turani, i giornali parlano di modella-influencer e a me già questo basta per affrontare il punto. Se le influencer sono modelle, ergo, ragazze particolarmente belle e con profili social perennemente perfetti, con una vita tra Porto Fino e Miami, non possiamo perdonare le loro debolezze, perché noi le seguiamo per un preciso motivo. Dimenticare le nostre fatiche. La sinossi della loro vita è una serie di scatti su Instagram, profondamente falsi e sbagliati nei messaggi che sottendono.
La cosa più normale che possa accadere, di fronte ad uno sfogo, assolutamente lecito ed umano, è che qualcuno storca il naso ed è parte della partita, se avviene entro le regole del fair play che si è imbastito negli anni.
Il problema non è che la maternità vera sia un tabù, niente affatto, per la gente “normale”. Il problema è creiamo modelli di perfezione e li seguiamo e li alimentiamo per distarci, per non stare nelle nostre fatiche, per cui, giustamente, non accettiamo di essere strascinate a casa, proprio da loro.
Se alimentiamo solo questo tipo di modelli, se siamo noi la domanda a questo genere di pellicole, il problema non è la maternità, sant’Iddio!