Si chiama “Roots of empahthy”, le radici dell’empatia, il progetto guidato dall’imprenditrice Mary Gordon che ha come obiettivo quello di “allenare all’empatia” i bambini, così da sradicare problemi annosi quali bullismo, cyber-bullismo e body shaming. Tutto parte da un assunto: alla base di questi fenomeni c’è l’incapacità di mettersi nei panni dell’altro, di capire che il dolore inferto per determinati atteggiamenti è tanto. Da qui l’idea: lavorare alla base sui singoli individui, partendo dalle “radici dell’empatia”, appunto, per spezzare una catena di negatività. Già, ma come fare? Qui sta l’elemento di maggiore novità del progetto. La risposta è: prendendo spunto dai neonati, portandoli nelle classi dei bambini un po’ più cresciuti…
Roots of empathy: come funziona il progetto
Il programma, che può essere attivato dalla prima elementare fino alla terza media, ovvero nelle classi dove si forma il carattere dei bambini e i fenomeni di bullismo prendono forma per la prima volta, prevede che la mamma di un neonato tra i due e i quattro mesi d’età faccia visita alla classe per circa due ore ogni 3 settimane. In questo lasso di tempo gli alunni sono portati ad osservare attentamente i comportamenti del neonato, che diventa il protagonista inconsapevole di una lezione che i bambini più grandi non potranno dimenticare. Quali sono gli insegnamenti che un neonato privo di qualsivoglia tipo di nozione potrà impartire agli altri bambini? Tutto si riduce alla sua fragilità, al proprio bisogno di aiuto, ma anche alla tenacia con la quale ogni neonato lotta contro i propri limiti. I ragazzi saranno portati ad entrare in relazione con lui preoccupandosi di attuare dei comportamenti che non siano nocivi. La domanda ricorrente sarà: “La cosa che sto facendo gli piace o gli dà fastidio?”. Ed è in questo modo, interrogandosi sulle esigenze dell’altro, che si allena l’empatia, ovvero la capacità di immedesimarsi in chi ci sta di fronte, così da evitare atti o atteggiamenti che possano ferirlo.
Roots of empathy, i risultati del progetto
Guai a pensare che questo metodo sia teorico e poco basato sulla realtà. Sono i risultati riscontrati nelle classi che hanno preso parte al programma a motivare i sostenitori del progetto nel perseverare, convinti che davvero si possa cambiare il mondo, eliminare il problema del bullismo e del body-shaming, intervenendo sulla singola coscienza di ogni bambino del pianeta. Intanto a migliorare è l’atmosfera respirata nella classe stessa, che si riscopre più compatta, solidale e disposta ad accettare le differenze contenute al suo interno. Parole come condivisione, inclusione, solidarietà, aiuto, prendono sempre più corpo negli alunni; di contro sono dimezzati gli episodi di aggressività e le situazioni di conflitto. A migliorare è anche l’intelligenza emotiva, per non parlare della comprensione del ruolo di genitori e della responsabilità cui andranno incontro da adulti mettendo al mondo dei figli. Questo progetto è stato attivato in molti Paesi, ma non ancora in Italia: per farlo si può contattare “Ashoka Italia”. Sarebbe un peccato rinunciare a questa occasione di crescita collettiva: il miglioramento delle nostre società passa da momenti simili!