Un notevole passo in avanti in campo medico è stato descritto in un articolo della rivista francese di medicina, Annals of Oncology.
Si tratta della fecondazione, avvenuta in vitro, per mezzo della quale una donna che è guarita da un tumore al seno ha potuto partorire un bambino. Il parto è avvenuto nel mese di luglio dello scorso anno, ma la notizia è stata resa nota da pochi giorni.
La malattia della donna e la fecondazione in laboratorio
La madre, ora 34enne, ha superato con successo, grazie alla chemioterapia, una grave forma di tumore al seno che le era stata diagnosticata quando aveva 29 anni. La stessa chemioterapia però ha causato la sua sterilità, come avviene in circa il 20% dei casi che interessano paziento di età intorno ai 30 anni.
Prima dell’inizio del ciclo di cure le sono stati prelevati degli ovociti non ancora maturi, utilizzando una nuova tecnica, chiamata Ivm, che consiste nella maturazione in vitro in laboratorio.
Gli ovociti prelevati, dopo la maturazione, sono stati conservati nel laboratorio e dopo 5 anni fecondati per poi essere impiantati nell’utero della donna.
La nascita di Jules, questo il nome del bambino, è la prima ottenuta in tutto il mondo con questa nuova tecnica, che potrà essere replicata in futuro, anche con delle migliorie che sono in corso di studio e sperimentazione.
Uno degli esperti che hanno eseguito questa procedura, Michael Grynberg, ha parlato con l’agenzia France Press spiegando di aver consigliato alla donna di congelare sia gli ovociti “immaturi” prelevati con la procedura Ivm, che il tessuto ovarico,. Una scelta che è stata effettuata pur essendo coscienti del rischio che l’intera procedura potesse non funzionare.
Attendere i tempi necessari per la maturazione degli ovociti, come nel caso della procedura standard, avrebbe infatti portato a tempi d’attesa troppo lunghi prima di poter iniziare la cura per combattere il tumore.
Una tecnica innovativa
Questa tecnica rappresenta un grande passo in avanti per le donne che si ammalano di un tumore, dato che consente loro di avere dei figli dopo la guarigione.
Una tecnica che è stata accolta con grande favore dagli esperti di questo campo, e che secondo un ricercatore dell’Università di Edimburgo, Richard Anderson, potrebbe rendere più facile la fecondazione in vitro, oltre che meno invasiva.