C’è un’espressione che mi lascia sempre assai perplessa. È quella usata da alcune mamme e alcuni papà e, più o meno, fa così : “Mio figlio ha carattere, si fa rispettare”.
Non so mai cosa vogliano dire davvero, ma mi sono fatta l’idea che ci sia un grande orgoglio, condiviso con fierezza, per avere un figlio “forte” al posto di uno “debole”.
Mi è capitato di ascoltarlo, di leggerlo sotto alcuni miei post. Credo anche di averlo visto, di aver assistito a quei moti di compiacimento verso una forza, una prepotenza, che non venivano limitati, riportati dentro ai margini dettati dall’empatia, dalla solidarietà, ma venivano lasciati liberi di esprimersi, senza remore.
Bambino forte e Bambino debole. Qualunque cosa voglia dire interpretare il ruolo del primo o quello del secondo.
Tutti vorremmo avere bambini che non subiscano angherie, prepotenze, prevaricazioni e, questo, per alcuni di noi, vuol dire essere particolarmente indulgenti verso comportamenti aggressivi o dispotici dei propri figli verso gli altri.
Me lo raccontò anche una psicoterapeuta. Mi disse che una coppia che seguiva, le raccontava come assecondasse alcuni comportamenti arroganti del figlio, verso gli altri, proprio perché temeva che, educandolo diversamente, avrebbe potuto “subire”.
Già lo so cosa penseranno alcune di voi: farsi rispettare non vuol dire essere prepotenti con gli altri. Bè, è vero, ma ho sempre l’impressione che quella frase, quel carattere “forte” nasconda questo. Questa promessa di indiligenza presente e futura verso il carattere di un figlio non empatico, non solidale, non rispettoso dell’altro.
Tutti, e mi ci metto dentro anche io sia chiaro, abbiamo paura che nostro figlio, con la propria innocenza, possa soffrire, possa farsi male a causa della propria ingenuità .
Non tanto per il torto di un gioco sottratto (che per quanto sia una sciocchezza per noi adulti, non lo è per un bambino) quanto per una forma di prepotenza, domani. Ma, certamente, non è educandolo alla “legge del più forte” che gli si garantisce l’incolumità.
Io credo che la mela non cada mai tanto lontana dall’albero.
Premesso questo e con tutte le dovute eccezioni del caso, ritengo che per quanta paura possiamo avere, è nostro compito insegnare ai bambini ad essere umani, buoni, ragionevoli, solidali, teneri. Principi da insegnare, in modo indiscriminato, alle femmine quanto ai maschi.
E, semmai, è verso bambini in grado di cedere il proprio gioco (per fare l’esempio più banale) per condividerlo o per coinvolgere l’altro, dovremmo manifestare orgoglio.
Perché è forte, semmai, chi capisce che cedere il passo non vuol dire perdere, ma aiutare, e questa è una di quelle cose che si insegnano da piccoli.