Una mamma transgender statunitense è riuscita ad allattare il bambino (di cui non è stato rivelato il sesso) portato alla luce dalla sua compagna, che non aveva intenzione di allattarlo al seno. Ciò è stato possibile grazie ad una cura assunta dalla transgender già dal 2011, assieme all’utilizzo di un tiralatte.
Il caso è apparso a fine gennaio sulla rivista americana “Transgender Health“, che tratta in modo scientifico di casi legati ai transgender; non una rivista di gossip, dunque, ma una testata di particolare rilievo in questo nuovo ramo della medicina.
Il primo caso di una mamma transgender che allatta al seno
Quando la mamma transgender (che chiameremo Trisha) si è presentata al Mount Sinai Center for Transgender Medicine and Surgery di New York, la compagna era già al quinto mese di gravidanza, ma con nessuna voglia di allattare al seno la creatura che aveva in grembo. Per questo motivo Trisha si è assunta la responsabilità di creare l’importante legame che unisce una donna con il proprio bambino durante l’allattamento materno.
Già dal 2011, Trisha aveva assunto un mix di farmaci che le permettessero di avere un seno pronunciato senza ricorrere alla chirurgia plastica mammaria. Con il supporto specializzato di un endocrinologo e l’assistenza sanitaria necessaria per un processo del genere, Trisha ha cominciato ad assumere un farmaco che stimolasse la produzione di latte, ovvero il Domperidone. Tale farmaco è indicato solo per il sollievo dalla nausea e dal vomito, e la produzione di latte è solo un effetto collaterale del farmaco, ragione per cui le mamme hanno dovuto raggiungere il Canada per procurarselo aggirando le normative statunitensi.
Secondo i medici, tuttavia, non è stato il farmaco ad avere il merito del successo: il motivo principale per il quale Trisha è arrivata a produrre oltre 200 ml di latte al giorno per più di 3 mesi è l’utilizzo di un normale tiralatte, che ha cominciato ad usare già da prima della nascita del pargolo.
Le implicazioni etiche legate a una mamma trans che allatta
In casi come questi, anche la mente più aperta e progressista si trova a combattere la sua indole conservativa. Una mamma transgender altro non è che un uomo che si sente a disagio nel proprio corpo e non si riconosce nel suo genere di nascita. L’allattamento, però, coinvolge una terza persona non senziente, e può scatenare molti dubbi sull’eticità del comportamento di Trisha.
Il modo in cui la globalizzazione ha modificato e sta modificando la visione del mondo, specialmente in quello “occidentalizzato”, ci fa credere che quando il figlio di Trisha sarà grande si troverà in un ambiente già maturo per accettare condizioni come la sua, e che non verrà visto come una “anomalia” da stigmatizzare ma più probabilmente come semplice parte di una minoranza largamente accettata.
Al momento, ciò che appare più importante è che il bambino goda di buona salute, e seppure non siano stati ancora effettuati studi approfonditi sul latte prodotto da Trisha, non si esclude che il suo possa essere solo il primo di una lunga serie di casi simili.
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