Permessi per allattamento a rischio: come funziona?

Così come nei casi di gravidanze a rischio, esistono dei diritti specifici per tutte le mamme che si trovino nella situazione di allattamento a rischio. La relativa misura è entrata in vigore dal 2001, ma non tutte le donne ne sono a conoscenza, anche tra coloro che hanno già partorito.

Vediamo quindi di fare chiarezza, spiegare quali lavori presuppongono l’allattamento a rischio e come fare domanda di permesso per allattamento a rischio.

Quando si parla di allattamento a rischio?

L’arrivo di un bambino è un momento di gioia, ma per molte mamme lavoratrici si presenta anche una grande domanda: “Come conciliare l’allattamento al seno con il rientro al lavoro?“. Per molte donne, tornare a lavorare dopo la maternità e continuare ad allattare può sembrare un’impresa complessa. Tuttavia, esistono diverse tutele per le mamme lavoratrici che vogliono garantire al proprio bambino il latte materno senza compromettere la propria salute e sicurezza. Una di queste tutele, poco conosciuta ma molto importante, è il cosiddetto “allattamento a rischio”.

L’allattamento a rischio si riferisce a quelle situazioni lavorative che possono compromettere la salute della mamma o la qualità del latte materno. Questo si verifica quando la donna è esposta a rischi specifici durante l’allattamento, come il contatto con agenti pericolosi o il lavoro in ambienti dove si è a contatto con molte persone, aumentando il rischio di malattie. In queste circostanze, la mamma può chiedere un cambiamento delle mansioni o, se non è possibile, può essere esentata dal lavoro, continuando comunque a ricevere lo stipendio.

L’allattamento a rischio è disciplinato dal Decreto Legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, noto anche come “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità”. Questo testo normativo mira a garantire la sicurezza sul lavoro per le donne in gravidanza e durante l’allattamento, incentivando le mamme a proseguire l’allattamento al seno, riconosciuto come la migliore fonte di nutrimento per il bambino.

Lavori collegati all’allattamento a rischio

Ma quali sono i lavori che possono creare dei problemi alle mamme che allattano, richiedendo necessariamente un allontanamento dall’attività lavorativa?

Si tratta essenzialmente di tutte quelle attività che, per il tipo di mansione o per l’ambiente in cui si svolgono, non sono idonee a donne che allattano.

Ad esempio, casi di allattamento a rischio si hanno per coloro che vengono a contatto con agenti fisici oppure con agenti biologici. Nel primo caso si parla di tutti quei lavori che prevedono ad esempio un alto livello di vibrazioni o radiazioni; nel secondo caso si parla di lavori come quelli nei reparti ospedalieri di malattie infettive.

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Ancora, l’allattamento a rischio può essere collegato a lavori a contatto con agenti chimici, quali ad esempio il parrucchiere, che utilizza prodotti per capelli o solventi tossici. Anche gli agenti di rischio in generale possono prevedere un periodo di assenza dal lavoro per chi allatta, come ad esempio nel caso di attività che prevedano posture prolungate o sforzi fisici di grande entità o anche dei turni di notte.

Esempi di lavori rischiosi

Tra le professioni considerate a rischio ci sono quelle di operaia, cameriera, cuoca, parrucchiera, commessa, medico, infermiera, insegnante, educatrice, operatrice socio-sanitaria e collaboratrice domestica. Queste professioni comportano spesso l’esposizione a rischi fisici, biologici o chimici che possono compromettere l’allattamento.

Come fare la domanda per l’allattamento a rischio

La domanda per poter usufruire del permesso retribuito in caso di assenza da lavoro per allattamento a rischio riguarda dunque molteplici campi, che vanno dal settore ospedaliero, a quello industriale, a quello della ristorazione e dell’estetica e così via. Ogni caso deve essere valutato singolarmente ed i riscontri devono essere obiettivi per poter formulare una richiesta corretta.

Entro trenta giorni dal parto, la mamma deve presentare al datore di lavoro il certificato di nascita del bambino. Nei primi tre mesi, usufruirà del congedo di maternità, mentre al rientro, insieme al datore di lavoro, valuterà se le mansioni assegnate presentano rischi per l’allattamento.

Se sussistono pericoli, la lavoratrice verrà assegnata a mansioni alternative non a rischio fino ai sette mesi del bambino. La richiesta va inoltrata alla Direzione Provinciale del Lavoro, e i moduli possono essere scaricati dal sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Se il cambiamento di mansione non è fattibile, la mamma ha diritto all’astensione dal lavoro fino al settimo mese del bambino, ricevendo una retribuzione al 100%, anticipata dal datore di lavoro e poi rimborsata dall’INPS.

Una volta accettata la domanda, la mamma potrà dedicarsi all’allattamento al seno del piccolo senza rischi né pensieri. Il tutto anche grazie al riconoscimento di questo diritto, che riguarda un tipo di astensione obbligatoria e che pertanto garantisce alla lavoratrice il pagamento del 100% della retribuzione, che sarà anticipato dal datore di lavoro e dunque rimborsato dall’INPS.

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