Ultimamente, noi genitori siamo stati sconvolti da un turbine incessante di notizie tragiche. Bimbi morti perché non vaccinati, mamme e papà che dimenticano figli in auto, infortuni causati dalla mancanza del seggiolino, il piccolo curato con l’omeopatia. E l’ultima, almeno per il momento, la storia del piccolo Charlie.
Sono argomenti scottanti che bruciano, come lava, la coscienza di tutti. Argomenti duri, di cui non vorremmo mai parlare.
Fatti di cronaca, spiacevoli, che diventano sempre più spesso bersaglio di polemiche. Tutti alla ricerca del colpevole a cui addossare le enormi responsabilità. In questo quadro, quasi sempre, non c’è spazio per la solidarietà. Il conforto.
Tutt’altro.
Quando apriamo Facebook leggiamo post violenti, crudeli, giudizi meschini, malignità. Scritte da mamme (e forse anche papà) contro quelle mamme e quei papà vittime. Vittime del fato, o delle proprie debolezze, di ignoranza o anche di un istante di superficialità. Ma, sempre e comunque, vittime.
Ci dimentichiamo che perdere un figlio, soprattutto se si tratta di un bambino, è contro natura, e sopravvivere a una cosa del genere, è difficile. Inimmaginabile. Ci dimentichiamo che, seppur la perdita fosse stata frutto di un atto leggero, del cervello che fa tilt o di convinzioni errate, non si soffre meno.
Nessuno crede di potere essere quel nome che ha letto sul giornale, l’estate prima. Nessuno pensa che possa accadere alla propria famiglia una tragedia di quella portata. Di fatto, però, a qualcuno accade.
Il fatto di cronaca, purtroppo, rimane sempre meno un ritaglio di giornale e, sempre più spesso, diviene un post. Di una blogger con l’obiettivo di scatenare una polemica, di un giornalista alla ricerca di maggiore visibilità, di una persona che non sa che fare. E tutto si trasforma, si ingigantisce. Tutto diventa provocazione: inutile e priva di sconti.
Io sono una mamma e non c’è un attimo che non mi interroghi se faccio abbastanza per mia figlia. Se sia in grado di proteggerla e se lo stia facendo nel modo giusto. Perché penso sempre che a tutti noi possano accadere incidenti. Nessuno escluso. Siamo tutti fallaci, possiamo sbagliare anche una sola volta, e una potrebbe bastare. Ed è questo, forse, che mi aiuta a non giudicare i papà e le mamme dei fatti di cronaca: non perché non mi facciano rabbia, ma perché so che il loro dolore è troppo forte. È insostenibile. Che senso avrebbe giudicarli, o parlarne male?
La stessa storia di Charlie, che al momento in cui sto scrivendo è ancora in fieri, è una storia che avrebbe meritato solo silenzio. Perché, in fondo, noi che ne sappiamo. Nulla, in verità.
Di fronte al dolore, qualunque ne sia la causa, dovremmo tacere ed essere solidali. Essere realmente dispiaciuti, per tutti. Invece, non so perché, ci trasformiamo in carnefici.
Crocifiggiamo, per qualche like in più, per avere consenso nella piazza virtuale ed in quella reale. O, più spesso, perché non abbiano nulla fare.
Non capendo che questo vuol dire che siamo DAVVERO FORTUNATI.