Qualcuna dice: “Non vedo l’ora che crescano.”
Scavalca piccole teste, piccoli berretti. Mani da inguantare, maniche rimaste a metà infilando il giubbotto. Guarda in là: vederli andare per il mondo, disegnarsi un carattere, una storia. Pensa alla scuola che faranno, ai viaggi, al lavoro. Da chi prenderà? Da me, rigorosa e tenace? Oppure dal padre, vagabondo e sorprendente?
Al primo vagito segue l’idea di quella tutina dei dodici mesi. Al primo attimo a carponi attende il passo. Immagina quando correranno. Quando usciranno da soli, vestiti da sé, le chiavi in mano. La bicicletta, il motorino, la macchina. Sciogliere questo miscuglio di fiati, dividere spazi, dividere tempi. Districarsi.
Io non ho fretta.
Io guardo Isabelle mangiarsi la vita a grandi morsi. Guardo Patrick chiuso nei suoi quaderni o tra pensieri nascosti. Guardo Sarah giocare con lui, oppure sola in racconti lunghissimi e pieni di congiuntivi. E vorrei dire: Crescete piano!
Io sono quella che insegue il momento nelle righe. E spera che basti. Io sono quella che ripone un body taglia sei mesi nell’armadio, destinato a nessuno. E resta a guardarlo prima di chiudere l’anta. Io sono quella che mette le foto a scorrere come screen saver. E vorrebbe fare uno screen saver della vita. Mi basterebbe una sola delle emozioni che date, a settimana. Avere il tempo di ruminarle, una per volta, guardare la piccola fiamma della candela e aspettare la cera.
Guardo le altre, madri di figli cresciuti, adolescenti, ragazzi dai jeans a mezza chiappa. Racconti di scuola e università. Signore anziane che hanno mille ricordi e pochi progetti. Case ordinate che sanno di pulito. E notti intere. Pasti per bene, con le pietanze calde e ininterrotte. Coi tovaglioli di stoffa e la tovaglia stirata.
E penso: “A me non accadrà.”
Come potessi scegliere. Come se avessi culo: che a me è capitato di avere dei bambini, e non dei figli già grandi. Come fosse una pesca di beneficienza, oppure quella dei cigni in plastica ai luna park: gli dai due soldi e tiri su quello che viene. A me sono venuti tre piccoli. Mi è andata bene.
Mi è andata bene, perché non so immaginarmi i miei figli grandi. Perché poi verrà tutto quanto: scompariranno i body, il fasciatoio, le salviettine per il cambio. Le lenzuola coi pupazzi saranno sfrattate. Sul comodino una sveglia al posto di Winnie the Pooh. La lucetta della notte sarà snobbata in favore del buio assoluto.
Tutto verrà: nel comò vestiti più grandi anziché giocattoli, pochi peluche sulla mensola, e nessun palloncino ormai sgonfio che insegue i passi in salotto. Verranno scarpe grandi, i cappotti appesi in alto coi nostri, telefonate al cellulare e vacanze con gli amici. Verranno progetti e segreti. Il jeans a mezza chiappa, le minigonne. Perfino la sala in ordine, le pietanze calde. I tovaglioli di stoffa.
Ma per intanto lasciatemi nella mia inerzia dolce. Lasciatemi qui ché sto bene così. A impastare gli occhi con l’ingenuità che il tempo mi risparmierà. Lasciatemi sussurrare ai miei figli: Crescete piano!
Con le gemelle non ho fatto altro che desiderare che crescessero… tutto troppo, con una sorella maggiore di due anni da accudire insieme a loro. Ora che le piccole hanno 5 anni e mezzo e la grande è una scolaretta, mi sto concedendo il quarto figlio e magari anche il desiderio che cresca piano.
Davvero? Dei gemelli non ho esperienza, ma posso immaginare. Il quarto figlio… te lo auguro, credo che allora sì, vorrai rallentare il tempo.